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Partito Radicale Angiolo - 23 giugno 1999
CHI RICOSTRUIRA' IL KOSSOVO? / 1
di Angiolo Bandinelli

("L'Opinione", 23 giugno 1999)

Chi ricostruirà il Kossovo? La domanda sembra semplice, e la risposta potrebbe apparire addirittura scontata, dopo il vertice dei G-8 a Colonia.Tutti sono d'accordo: l'Occidente, l'Europa rimetteranno in piedi il Kossovo, daranno un generoso, sostanzioso aiuto alla crescita dei Balcani. I rubinetti dei fondi internazionali si apriranno e anzi, ci pare di aver letto da qualche parte, governi e imprese "stanno già scaldando i muscoli". Non sarà però un'impresa tutta filantropica, come è facile capire. Nemmeno per l'Italia "buonista" di oggi che sicuramente si darà da fare per accaparrarsi il massimo di commesse possibili. D'Alema, leggiamo su un importante quotidiano, ha affermato "che la ricostruzione può essere un volano per economie come la nostra", e dalla stessa fonte apprendiamo che "a palazzo Chigi le ricognizioni su quali fossero i settori per i quali le imprese italiane avrebbero dovuto prepararsi sono cominciate in silenzio almeno nella prima settimana di maggio". Gli altri paesi non saranno da meno

, avremo concorrenti pericolosissimi nella Francia, nella Germania, nell'Inghilterra e persino negli Stati Uniti.

Bene o male, la ricostruzione sarà comunque avviata. Al quadro manca solo un particolare: chi sarà la controparte dall'altra sponda, quella dei serbi e dei kosovari? O meglio: chi, dalla parte dei più diretti interessati - i soggetti della ricostruzione - deciderà come, dove, con quali progetti si ricostruirà? Tirare su un ponte è relativamente facile. Qui però non si tratta di rifare ponti, fabbriche e elettrodotti quanto di ricostruire, o forse addirittura di costruire, una collettività umana e politica, una soggettività, se non una identità, organicamente civile: e perché questo obiettivo venga almeno individuato, molto prima che raggiunto, occorre una classe dirigente di buone qualità tecniche ma soprattutto con una visione precisa ed alta delle questioni in gioco e degli strumenti culturali per affrontarle. Esiste oggi, nel Kossovo, nella Serbia-Jugoslavia, negli stessi Balcani, una classe dirigente di questo livello, che sappia dare un taglio col passato delle guerre etniche e religiose e avviare una

costruzione "solidarista" della regione nel suo complesso? Noi, pessimisticamente, non lo crediamo; di qui il nostro timore che la ricostruzione resti semplicemente un gigantesco affare per le imprese e i capitali occidentali (che, in un contesto così fragile ed esposto, useranno anche largamente della micidiale arma della corruzione) ma segnando anche un altro passo nel degrado civile, culturale, umano dell'infelice regione, forse ancora peggiore della stessa guerra.

I G-8 hanno avvertito (con sfumature e diversità di tono non indifferenti, peraltro) che gli aiuti internazionali arriveranno alla Serbia solo se il paese saprà darsi ordinamenti, strutture, un governo democratici. Supponiamo anche (ma non ci crediamo) che Milosevic se ne vada. Basterà questo per garantire il subentro di una classe dirigente alternativa capace di districarsi tra i rischi e i pericoli cui si troverà esposta? O non c'è da temere che la ricostruzione, piombandole addosso coi suoi allettamenti, divenga un ulteriore strumento di disgregazione, di lotte politiche e faide senza fine? Questo in Serbia, un paese di spessore culturale e civile molto meno forte che non la Jugoslavia multistatuale e multietnica dell'altro ieri. E nel Kossovo? C'è chi pensa che in questa regione esista, al di là di Rugova o del UCK, un embrione di classe dirigente e politica in grado di affrontare in modo congruo certi difficilissimi problemi? Per ricostruire l'Umbria terremotata si sono avute discussioni, dibattiti, r

iflessioni a non finire: ma in Umbria (o nell'Italia del Piano Marshall) una classe dirigente c'era, di spessore anche internazionale. Non crediamo che il Kossovo possa essere

alla stessa altezza: l'UCK e Rugova (non per colpa loro, evidentemente) sono di fronte a un problema enormemente troppo grande, come sarà il ristabilire un minimo di armonia o di dialogo tra etnie che si sono scannate fino a ieri e probabilmente continueranno a farlo, più o meno copertamente, anche domani e dopodomani. Alla fine, avremo la ricostruzione del Kossovo multietnico, del Kossovo albanese, o di quello serbo?

Di fronte a tali interrogativi, che meriterebbero una discussione prioritaria anche in Italia, oltreché in Europa (e vedremo se e come verranno affrontati nella conferenza internazionale annunciata per luglio) si può finalmente capire l'errore madornale di quanti, forze politiche e intellettuali in primo luogo, in questi anni hanno puntato tutto ed esclusivamente sulla cacciata di Milosevic, pensando che, eliminato il tiranno, tutto si sarebbe aggiustato. Ahimè, non è stato così e non era impossibile prevederlo. Bastava avvertire da tempo che la "questione nazionale", la "questione serba" preesistevano a Milosevic, e in parte lo hanno persino condizionato. Sarebbe stato da tempo necessario avviare almeno una "catalogazione" (per così dire) dei problemi in ballo, delle diversità e delle divergenze, individuando e sostenendo gli interlocutori possibili perché cominciassero a dialogare tra loro, ad organizzarsi, a districare i fili, a saggiare i percorsi utili. Oggi, la ricostruzione inizia nel vuoto assoluto

di prospettive di questo genere, in un completo silenzio "culturale", innanzitutto. Con l'aggiunta del ritorno della Russia nella regione in posizione arbitrale: come nel 1878. Un bel fallimento, per i democratici e i liberali occidentali ed europei.

Dietro queste, si affollano altre domande, altre inquietudini. Come potremo, cercheremo quanto prima di dar loro una risposta..

 
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