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Conferenza Hands off Cain
Manfredi Giulio - 28 aprile 1998
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("Sole 24 ore" del 25/04/98)

"Vendetta ma non giustizia. I primi ventidue condannati a morte per il genocidio del '94 in Ruanda sono stati fucilati in pubblico dai plotoni di esecuzione dell'esercito a Kigali e in altre quattro città del Paese delle "mille colline". A migliaia si sono radunati alla periferia della capitale per vedere i condannati legati ai pali, con la testa incappucciata da sacchi scuri e sul petto cartelli bianchi con un bersaglio disegnato in nero. Quando è esploso il primo colpo la folla ha incominciato a esultare. Un uomo ha urlato: <>.

Forse non era esattamente a una scena di questo genere a cui pensava Clinton quando, nel suo recente tour africano, ha reso omaggio al monumento di Kigali che ricorda gli 800mila massacrati quattro anni fa dalle milizie hutu. L'uomo forte del Ruanda, Paul Kagame, allievo di una delle più prestigiose scuole di guerra americane, aveva fatto altre promesse al suo alleato di Washington. Ma gli inviti del dipartimento di Stato a evitare il "sensazionalismo" nelle esecuzioni capitali non sono stati presi in considerazione. Ignorato anche l'appello del Papa. Il ministro degli Interni ruandese, Patrick Mazimhaka, ha ricordato <>. <>.

Così vanno le cose sulle nebbiose alture ruandesi dove negli ultimi anni il nuovo regime tutsi insieme a Kabila, il conquistatore del Congo, e al leader dell'Uganda Museveni hanno disegnato con l'aiuto di Washington la nuova mappa dei Grandi Laghi, travolgendo un pezzo importante dell'Impero francese nel continente. Ma questa <>, che deve essere integrata secondo gli americani nei mercati mondiali, non va sempre nella direzione asettica dei piani voluti da Fondo monetario e Banca mondiale. L'Africa rivendica se stessa, e si vendica.

Chi ha torto e chi ha ragione? Sbaglia la giustizia frettolosa e crudele di Kigali. Ma anche altri stanno sbagliando. Quelle di ieri sono state le prime esecuzioni da quando nel dicembre del '96 sono cominciati i processi per genocidio: sono state giudicate 330 persone; di queste 116 condannate a morte, altrettante all'ergastolo e le rimanenti a pene detentive di varia durata. Ma ce ne sono ancora 125mila in attesa di giudizio.

Funziona meglio la giustizia internazionale di quella ruandese? Un tribunale Onu sta conducendo separatamente altri processi per genocidio in Tanzania: nessuno di questi finora si è ancora concluso. La pena massima prevista è l'ergastolo. Alla Corte dell'Aja sono stati aperti altri voluminosi dossier sulla tragedia ruandese: sono stati chiamati a testimoniare ufficiali francesi, ritenuti responsabili di aver appoggiato, per ordini superiori, i massacri condotti dagli hutu, alleati di Parigi. Nessuno di loro, naturalmente, si è ancora presentato dalle parti del confine olandese. Schengen sembra facilitare la circolazione delle persone ma non quella della giustizia internazionale. E intanto la Francia fa l'esame di coscienza sull'operazione <> del '94 in Ruanda, mettendo sotto accusa la "cellula africana" dell'Eliseo e il suo direttore di allora, Jean-Cristophe Mitterrand, il figlio del presidente, soprannominato <>.

Chi è senza peccato in questa storia? Nessuno, neppure le Nazioni Unite. Secondo una commissione parlamentare belga (impegnata a lavare i panni sporchi africani in famiglia), l'Onu sapeva quello che si stava preparando quattro anni fa. Il comandante canadese del contingente di pace in Ruanda aveva spedito un fax con informazioni dettagliate sul piano del governo estremista hutu allora al potere per sterminare migliaia di civili tutsi. Il generale canadese Romeo Dallaire chiedeva con questo messaggio di potere sequestrare le armi alle milizie hutu. Ma l'operazione non venne autorizzata. Quello che è avvenuto a Kigali ieri non è certo il miglior modo di fare giustizia ma a Occidente del Paese delle "mille colline" non è stato dato il migliore degli esempi.".

 
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