ALL'ONU LA RISOLUZIONE EUROPEAda LA STAMPA, domenica 14 novembre 1999
Emma Bonino
Come quelli che lottano contro il cancro, anche noi che ci battiamo per l'abolizione della pena capitale sappiamo che il nostro traguardo e' finalmente vicino. Loro intravedono il traguardo scientifico che consentira' di strappare vittime al "male del secolo", noi intravediamo il traguardo politico-giuridico che permettera' di strappare vite umane al macabro rituale della forca.
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite si accinge a discutere e votare una risoluzione presentata dai 15 Paesi dell'Unione Europea - e sottoscritta da 74 Paesi di tutti i continenti - che propone una moratoria universale delle esecuzioni. Se la risoluzione fosse approvata non saremmo ancora al traguardo: perche' la moratoria non e' l'abolizione e perche' le risoluzioni dell'Assemblea Generale non sono vincolanti per gli Stati membri. Ma sarebbe ugualmente una grande vittoria perche' attesterebbe la presa di coscienza, da parte dell'insieme della comunita' internazionale, che l'applicazione della pena di morte contrasta con i principi della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo".
Per porre la questione pena di morte in questi termini, che sono quelli giusti, il movimento abolizionista ha sostenuto anni di schermaglie - diplomatiche, giuridiche, ideologiche, culturali - sfociate nell'aprile scorso a Ginevra nella votazione (30 si' e 11 no, fra cui quelli di Cina e Usa, e 14 astenuti) con cui la Commissione Diritti Umani dell'Onu ha fatto sua la proposta europea.
I sostenitori del supplizio capitale, ancora praticato con maggiore o minore frequenza in 72 Paesi, sanno di essere perdenti sul piano etico-giuridico. Ma sanno anche che l'avanzata del movimento abolizionista puo' essere ancora ritardata spostando la questione sul terreno dei tranelli procedurali oppure confondendola con le dispute ideologiche e quelle sul cosiddetto relativismo culturale che travagliano rapporti fra Nord e Sud del mondo.
"Ingerenza" e' la parola-totem, "rifiutare l'ingerenza" la linea invalicabile dei fautori della morte di Stato che ci accusano di volere imporre al mondo priorita', regole e valori coniati a misura delle societa' europee occidentali.
Gli abolizionisti rispondono che mettere fine agli omicidi legali e' un obiettivo di per se',che (come l'abolizione della schiavitu', della tortura e della discriminazione razziale) non rientra in alcuna strategia se non quella, riguardante l'umanita' intera, di proteggere la dignita' della persona.
L'obiettivo per cui lottiamo e' quello di fermare la mano del boia. Non siamo cosi' megalomani, o cosi' sciocchi, da pensare che la nostra mobilitazione possa determinare l'esito di sfide epocali come quelle poste dal divario Nord-Sud, da tutti gli integralismi politico-religiosi, dalla longevita' del "muro di Pechino" rispetto a quello di Berlino.
Detto questo, inutile negare che nel mondo contemporaneo esiste un problema di crescente "ingerenza" da parte della comunita' internazionale, in difesa di valori e principi sanciti come universali, nei confronti di Paesi che tali valori e principi vilipendono. Di chi la colpa? Da una parte proprio della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" del 1948; dall'altra, dell'amata-odiata globalizzazione. Sarebbe il colmo se si mondializzasse tutto salvo le coscienze e i diritti della persona.
Parlamentare europeo