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I boomerang italiani
nelle campagne
anti pena di morte
di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti
Il New York Times ha pubblicato il 22 settembre due lunghi e dettagliatissimi articoli sulle variazioni dei tassi di criminalità nei singoli Stati Usa nell'ultimo quarto di secolo. Servendosi delle fonti ufficiali del Fbi, la ricerca evidenzia , tra gli altri, un dato molto interessante: il tasso di criminalità è sceso in quegli Stati (12) dove non c'è la pena di morte, mentre è aumentato (in media del 70 per cento) in quasi tutti i 36 Stati che l'hanno in vigore. Situazione emblematica è quella dello Stato di New York, dove la pena di morte è in vigore su tutto il territorio, ma viene applicata in pratica soltanto nelle contee extraurbane. Mentre nelle aree extraurbane il tasso di criminalità è in aumento, si è registrato un fortissimo calo degli omicidi nella City, dove le procure negli ultimi anni si sono astenute dal chiedere la massima punizione, ritenendo più proficuo impegnarsi nella "tolleranza zero", ossia la garanzia che la polizia indaghi con pari impegno su tutti i casi, anche quelli apparentemen
te minori.
I dati hanno suscitato le prevedibili polemiche che noi ora non abbiamo lo spazio per riassumere. Diciamo solo che a margine del dibattito si è manifestato il profondo malcontento dei "garantisti" americani nei confronti degli "italiani". Il termine è riportato in modo generico, ma il riferimento è chiaramente alla confusione che nel nostro paese è stata montata con la scusa che c'era un italoamericano (Derek Rocco Barnabei) nel braccio della morte della Virginia. Già in un articolo sul Virginian Pilot del 14 settembre (subito prima dell'esecuzione di Barnabei) dal titolo sardonico ("Chissà cosa mettono gli italiani nei loro cannoli", nel senso di qualcosa di ancora più forte del Chianti che bevono, visto che si innamorano regolarmente dei nostri peggiori criminali) diversi commentatori irridevano agli italiani. Notavano che più o meno le stesse forze politiche e giornalistiche che in Italia chiedono il carcere durissimo per qualsiasi meridionale accusato (accusato, non condannato) di mafia o camorra, e che
insabbiano regolarmente tutte le indagini sulle oltre 300 persone che muoiono a vario titolo ogni anno nelle nostre carceri, salgono in cattedra appena si parla di Usa, e vogliono dare lezioni non solo di procedura penale, ma anche di morale e di etica. Altri articoli dei giorni successivi ricordavano che in Italia ogni tanto qualcuno vuole arrestare un primo ministro o un ex primo ministro salvo poi scoprire poco dopo che non c'erano prove, e che qualche segretario di partito "non può non sapere", mentre altri invece "non è detto che dovessero per forza sapere". Insomma gli americani si sono molto indispettiti per quella che è sembrata a loro l'insopportabile arroganza degli italiani, e più indispettiti di tutti sono i "garantisti", quelli che da tempo (e con crescente successo) si stanno battendo per l'abolizione della pena di morte, abolizione da intendere come "laicizzazione" dello Stato.
I nuovi dati diffusi dal New York Times stanno ridando fiato ai garantisti americani, disperati dopo la fallimentare campagna veltroniana sull'innocenza di Barnabei che in questi ultimi mesi aveva fatto loro perdere quasi tutto il terreno conquistato in anni e anni di duro lavoro. Non è un caso, ad esempio, che sul caso Barnabei non esistano dichiarazioni ufficiali di Sistrer Helen (la famosa suora di "Dead man walking") o di Furio Colombo, uno dei "padri" dell'impegno italiano contro la pena di morte ma anche uno dei più intelligenti conoscitori di cose americane. Nemmeno Amnesty International e la Comunità di Sant'Egidio si sono schierate per l'innocenza di Barnabei, ben intuendo gli aspetti negativi che una tale impostazione avrebbe avuto. Già, ma pur di fare qualcosa di sinistra, i nostri giacobini hanno scoperto l'abolizione della pena di morte in America. Già, solo in America del Nord, perché della pena di morte in America Centrale (Cuba, tanto per fare un esempio) non sembrano sconvolgersi molto.
Veltroni per recuperare qualche voto ha forse rovinato per sempre quel paziente lavoro che l'Italia sta portando avanti da anni, e che già nel 1994 aveva portato il governo Berlusconi a presentare in sede Onu una risoluzione per la moratoria delle esecuzioni, una risoluzione che non venne approvata per un soffio, per 8 voti su 167. La stessa risoluzione che in teoria avrebbe dovuto essere ripresentata l'anno scorso, se non fosse che il governo D'Alema, con il suo ministro Dini, all'ultimo momento l'ha fatta ritirare. Forse perché era ancora la fase dell'Ulivo Mondiale, quella con Clinton spacciato per grande alleato. Ora che l'Ulivo si è un po' rimpicciolito si può ricominciare a parlar male degli americani, così, tanto per fare qualcosa di sinistra.