ARTICOLO PERICOLOSO
Nel gennaio 1995 ho proposto il seguente articolo alla rivista "Esperanto" organo dell'UEA. Il presidente dell'associazione, ricevuto il testo, ne autorizzava la pubblicazione, tuttavia ho dovuto attendere tre mesi e sollecitare piu' volte la risposta per venire a sapere, infine, in aprile, che l'articolo non era stato accettato: il motivo del rifiuto non mi veniva comunicato.
Ho fatto l'abitudine a questi metodi, perche' gia' in passato tre redattori succedutisi alla direzione di "Esperanto" hanno sistematicamente rifiutato i miei testi contenenti critiche e proposte.
Ora la domanda non e' tanto, se le mie tesi sono giuste o non sono giuste, ma se -- in un'associazione democratica come e' l'UEA -- un socio qualificato abbia o non abbia diritto a rendere pubblica -- sul giornale dell'associazione -- una libera opinione e a provocare, su di essa, una discussione fra gli iscritti.
Ecco il testo dell'articolo rifiutato:
E' NECESSARIA UNA STRATEGIA COMUNE
Il testo che segue, scritto nel quadro di una ricerca presentata al Congresso Esperantista dell'Unione Europea, lo scorso anno, a Parigi, non intende esprimere un punto di vista circa alcune tendenze del movimento esperantista ma solo elencarle. Conoscere per intero le problematiche del nostro ambiente e parlarne liberamente e' indice di forza.
SCOPO, OPPURE STRUMENTO
Fin dall'inizio gli esperantisti erano cosø entusiasticamente convinti dei vantaggi che l'adozione dell'esperanto avrebbe arrecato al mondo che non avevano dubbi sul suo futuro successo. Inizio', allora, un intenso lavoro di diffusione a mezzo di informazione, di insegnamento, di applicazione pratica e di pressione verso le autorita' pubbliche con lo scopo di ottenere da parte loro una ufficializzazione della lingua (lavoro che fu poi vanificato dalle due guerre mondiali e dalle persecuzioni nei paesi a regime totalitario).
Alla fine degli anni '70 si formava un'altra tendenza del movimento esperantista, che asseriva che l'esperanto non e' uno scopo di per se' ma uno strumento culturale di una nuova comunita' internazionale che comunica e interagisce con una lingua mondiale. Il concetto dell'esperanto come mezzo e non come fine, era stato gia' prima espresso dalla SAT (Associazione Mondiale Anazionale), che aveva posto l'accento sul ruolo culturale della lingua internazionale per la classe lavoratrice. Le due tendenze, che si caratterizzano piu' per differenze teoriche che non per il suo effettivo spirito interno delle organizzazioni esperantiste, sono chiamate rispettivamente "finovenkismo" (chi crede nella vittoria finale) e "raumismo" (dal Manifesto di Rauma, Finlandia, diffuso in occasione di un congresso esperantista giovanile del 1980).
A) IL "FINOVENKISMO"
Per raggiungere il loro traguardo finale, gli esperantisti della scuola neutralista ("L'esperanto e' un movimento linguistico, che non si occupa di politica, di problematiche religiose o sociali". Dichiarazione del 1905), si organizzarono a livello locale e nazionale. La creazione e la definizione del ruolo di organizzazione mondiale (cioe' l'UEA) richiese alcuni decenni, prima per mancanza di un modello politico mondiale (la Lega delle Nazioni nacque - impotente - nel 1919 e non funziono' mai realmente), poi per la litigiositß degli esperantisti che provocarono scismi e vertenze. Solo nel 1947 - parallelamente alla fondazione dell'ONU - veniva fondata l'UEA nella sua struttura attuale, con lo scopo statutario - tra l'altro - di "agire per la soluzione del problema linguistico nei rapporti internazionali e facilitare la comunicazione internazionale" (art. 3 dello Statuto).
Al di fuori dell'UEA nacquero associazioni esperantiste tematiche e di categoria - neutrali e ideologiche - che un po' alla volta aderirono all'UEA o collaborarono con lei. Particolarmente la gia' citata SAT, movimento operaista trasversale alle ideologie politiche di sinistra (anarchismo, comunismo, socialdemocrazia, ecc.).
A livello internazionale le speranze di tutti si concentrarono, a partire dal 1947, sull'UEA, che infatti avvio' due petizioni a livello mondiale - rivolte all'ONU - con milioni di firme individuali e collettive. Il risultato positivo della prima petizione all'ONU si concretizzava in una risoluzione, non dell'ONU ma dell'UNESCO, (Montevideo 1954). La seconda (1965) addirittura non fu nemmeno trattata dall'ONU (a parere del sottoscritto per un errore procedurale da parte dell'UEA). Questo insuccesso apparentemente segno' una contrazione della piu' che quindicennale azione centrale dell'UEA, azione che ancor prima consisteva nel lancio di campagne mondiali di informazione, di piani realistici, di interventi coordinati presso istituzioni internazionali e piu' prestigiosamente dell'organizzazione dell'anno di Zamenhof (nel 1959). Il dinamismo dell'UEA (merito incontestabile di Ivo Lapenna) in quel periodo, porto' alla associazione grandissimo prestigio, tra gli esperantisti.
Dopo il 1965, una delle critiche rivolte alla associazione e' che "l'UEA lavora principalmente per l'UEA" (T. Sekelj). Alcuni ritengono che, a fronte della crescita considerevole del proprio capitale per donazioni ed eredita', fino dalla meta' degli anni '70, l'UEA si limiti, in massima parte, alla sua amministrazione ed alla fornitura dei servizi tradizionali ai propri soci, perfino con il risultato parallelo di preventivare grandi deficit nel consuntivo annuale. Infatti, in occasione della seconda risoluzione dell'UNESCO (Sofia, 1985), l'UEA non giuoco' un vero ruolo: il lavoro fu fatto, ed il risultato fu raggiunto, personalmente da Tibor Sekelij. L'azione presso la Conferenza Mondiale del Turismo (Manila 1980) fu merito di M. Lengyel con l'aiuto del sottoscritto. Il risultato del riconoscimento del PEN-Club fu dovuto a "Literatura Foiro" (G. Silfer). L'ottenimento di una sovvenzione dell'UNESCO per il programma Fundapax fu lavoro dell'ERA (G. Pagano). Il giubileo del centenario, del 1987, non vide
l'UEA come organismo centrale, nel solito ruolo informativo, promozionale e organizzativo, che aveva brillantemente avuto per il giubileo del 1959. Tutto si svolse a livello nazionale e locale, mentre Rotterdam prendeva atto, ma non iniziativa.
Il vuoto di azione lasciato dall'UEA viene occupato, fino dagli anni '80, da correnti di pensiero indipendenti e da proposte strategiche, come la scuola di Paderborn, di Frank (valore propedeutico dell'esperanto), la proposta europeista di Chiti-Batelli, che si propone di seguire anche l'ERA (Esperanto-Radikala Asocio), l'azione presso l'Unione Europea del gruppo di lavoro Europa (Erasmus-Symoens).
B) IL "RAUMISMO"
In reazione ad una apparente mancanza di strategia per far progredire l'esperanto, la gioventu' esperantista propose una nuova, rivoluzionaria tesi con il Manifesto del congresso della TEJO di Rauma (Finlandia) del 1980. Detto in breve, il Manifesto, con notevole coraggio e perfino provocazione, dichiara tra l'altro che:
<>. Troviamo poi un corollario di Rauma, nelle conclusioni di Szeged (1988), che criticano l'organizzazione (UEA) burocraticamente verticale e preferiscono la collaborazione orizzontale di una rete di organizzazioni, anche se solo per periodi e scopi definiti.
Nel 1994 si rese evidente che - a fronte di un silenzio dell'Associazione che durava da quattordici anni, su questa risoluzione - quasi la meta' dei dirigenti dell'UEA simpatizzavano con il "raumismo".
COMPROMESSO E AZIONE
Su queste due correnti di pensiero si svolsero grandi dibattiti pubblici, prima e dopo il congresso di Valencia, con la soluzione di compromesso di H. Tonkin secondo la quale "finovenchismo" e "raumismo" possono coesistere. Tonkin proponeva, inoltre, di "ridurre i servizi di routine" dell'UEA (rivista, annuario, ecc.) per potenziare l'attivita' esterna. Tutto pero' rimaneva immobile come prima e ancor piu' veniva meno una strategia comune per l'attuazione dell'art. 3 dello Statuto dell'UEA.
La strategia prima citata non puo' essere formulata da un solo individuo. E' un compito collettivo. Nel 1987 mi sono permesso di sottoporre alcune proposte, con un documento di 24 pagine che fu approvato dal Comitato ma mai applicato dalle Dirigenze successive. Ecco alcuni punti:
-- modificare i metodi di lavoro e gli ordini del giorno del Comitato e dedicare maggior tempo dei suoi convegni, alla discussione di piani concreti per la diffusione dell'esperanto (in altre parole: non solo amministrare l'esistente ma pianificare il futuro);
-- in collaborazione con l'Ufficio Centrale riformare, in tempi medi e senza decisioni traumatiche, l'Ufficio Centrale stesso;
-- collaborare piu' intensamente con altre organizzazioni esperantiste, anche se non aderenti, per campagne comuni.
Le parole di cui sopra meritano, forse, di essere meditate.
GIAN CARLO FIGHIERA
Membro vitalizio dell'UEA
ex Segretario Permanente per il Congresso
e dirigente per le finanze dell'UEA