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Partito Radicale Lapo - 6 marzo 2000
CORSERA: L'INGLESE? PEGGIO DEL GIAPPONESE!

In un articolo comparso ieri, domenica 5 marzo 2000, sulle pagine scientifiche del Corriere della Sera e richiamato in prima pagina, vengono sfatati finalmente, e con argomenti scientifici, alcuni luoghi comuni sulle lingue straniere, e specialmente sull'inglese, luoghi comuni assai più vicini alla mitologia o ai pregiudizi che alla realtà o alle conoscenze scientifiche in materia.

In primo luogo, riportando i risultati di un accurato studio di carattere scientifico condotto da un'equipe italo britannica di neuropsicologi, si afferma che l'inglese è una lingua più difficile da apprendere e parlare del tedesco o persino del giapponese.

D'altra parte, si sottolinea che particolarmente penalizzati nell'apprendimento della lingua dell'impero americano sono proprio i popoli latini, per motivi cerebrali oltre che culturali (chi parla una lingua neolatina non attiva una parte del cervello fondamentale invece per un corretto apprendimento dell'inglese).

Pertanto, la politica dei governi europei atta a favorire, di fatto, il solo insegnamento dell'inglese nelle scuole di ogni ordine e grado (vedi l'ignobile spot del governo D'Alema sullo "scemo del villaggio globale") oltre che inacettabile da un piano politico e culturale da oggi deve essere considerata sul piano tecnico scientifico anche esplicitamente razzista.

Alla faccia di Haider e soci!

CORRIERE DELLA SERA,

domenica , 05 marzo 2000

PRIMA PAGINA

L'inglese? Per il cervello italiano è più facile il giapponese

L'apprendimento della lingua anglosassone impegna due aree cerebrali, quello della nostra una sola

"Ha una spiegazione neurologica la difficoltà degli italiani a imparare la lingua inglese. Grazie a una tecnica di indagine che evidenzia le aree cerebrali in attività, si è constatato che parlando in italiano si attiva una sola area cerebrale, mentre se ci esprimiamo in inglese se ne attivano due. Questa diversità di impegno cerebrale è dovuta al fatto che nella lingua inglese le parole scritte non corrispondono alle parole parlate, come avviene in italiano. La maggiore complessità dell'apprendimento dell'inglese, sia come prima che come seconda lingua (per noi è più facile imparare il tedesco e persino il giapponese) e le basi nervose dei due idiomi sono emerse da uno studio di un gruppo di ricercatori italo-britannici coordinati dal milanese Eraldo Paulesu."

CORRIERE DELLA SERA

SCIENZE

Scoperte le ragioni neurologiche della nostra difficoltà ad affrontare lo studio della lingua anglosassone

Chi parla inglese attiva due zone del cervello

Per esprimersi in italiano è sufficiente utilizzare una sola area cerebrale

Alberto Oliverio

Sappiamo tutti che imparare una seconda lingua pone qualche problema quando non si è più bambini. Da piccoli, invece, l'apprendimento linguistico è più facile per una serie di motivi: si ha un atteggiamento più giocoso, si teme meno di sbagliare, il cervello è più plastico, la memoria migliore, la tendenza a imitare suoni e accenti è più accentuata.

Per un italiano, l'apprendimento di una seconda lingua è più facile quando è simile alla nostra, come avviene per altre lingue latine come lo spagnolo o il francese, o quando le parole scritte corrispondono a quelle parlate, come avviene ad esempio in buona misura per il tedesco o persino per il giapponese: l'apprendimento linguistico è invece molto più complesso quando la seconda lingua è l'inglese, una lingua in cui la stessa combinazione di vocali e consonanti (cioè i "grafemi") può originare suoni diversi o "fonemi".

In inglese, ad esempio, parole come side (lato) nomi come Edinburgh o Oxfordshire hanno pronunce ben diverse rispetto alla parola scritta: chi impara l'inglese deve imparare a convertire questi grafemi nella giusta pronuncia e il profano si chiede perché mai side diventi "said", Edinburgh diventi "Edimbra" e Oxfordshire "Oxforsciair".

La spiegazione della maggiore complessità dell'apprendimento dell'inglese (sia come seconda che come prima lingua) dipende dalle caratteristiche del cervello umano e dall'organizzazione dei centri del linguaggio.

Nella maggior parte delle persone, salvo i "veri" mancini, le aree della corteccia cerebrale che ci consentono di comprendere le parole udite e di articolarle in suoni sono localizzate nell'emisfero sinistro.

In questo emisfero esiste un'area frontale (o area di Broca) responsabile delle memorie motorie (l'articolazione delle parole e la loro riproduzione in grafemi) e un'area più posteriore (area di Wernicke) responsabile delle memorie sensitive (i suoni delle parole udite o fonemi).

E ormai noto che nel corso dell'apprendimento linguistico un bambino - o un adulto che studia una nuova lingua - deve tradurre la rappresentazione della parola scritta (grafemi) in fonemi, vale a dire in suoni articolati: dalle memorie sensitive (ciò che ascoltiamo o leggiamo) bisogna passare a quelle motorie (ciò che diciamo o scriviamo). Questo compito è molto più facile quando fonemi e grafemi coincidono, più difficile quando la parola parlata non coincide con quella scritta, come nel caso dell'inglese.

Un recente studio di un gruppo di ricercatori italo-britannici, coordinato dal milanese Eraldo Paulesu, ha indicato di recente quali siano le basi nervose dell'apprendimento di due lingue, l'italiano e l'inglese. Utilizzando la Pet, tecnica che permette di visualizzare le zone attive del cervello durante lo svolgimento di un compito, si è visto che quando gli italiani leggono si attiva soprattutto l'area del lobo temporale sinistro. Quando gli inglesi sono coinvolti nella lettura devono invece attivare più aree cerebrali: in particolare, divengono attive la regione temporale postero-inferiore e quella frontale antero-inferiore.

In sostanza imparare l'inglese è più "macchinoso" rispetto all'italiano, soprattutto quando si tratta di parole ambigue, ad esempio un cognome insolito: in questo caso bisogna attivare quelle aree corticali che codificano il significato delle parole, oltre che il suono corrispondente, proprio per eliminare le diverse alternative implicite nell'ortografia.

In italiano o in francese, invece, leggere una parola significa associarla col suono corrispondente: non occorre fare quel "lavoro in più" richiesto dalla ricerca del significato del suono, il che spiega perché gli inglesi impieghino più tempo, rispetto agli italiani, per leggere le parole di un testo.

PS: Per vedere le aree della corteccia coinvolte nel linguaggio vai al sito: www.oliverio.it , clicca su "Esplora il cervello", "Immagini", "Introduzione".

 
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