LINGUE Forse lo spagnolo diventerà obbligatorionelle scuole: italiani, inglesi e francesi sul piede di guerra
Forse non era mai capitato, ma una questione linguistico-culturale sta
mobilitando le diplomazie come si trattasse di una
disputa territoriale o del controllo delle materie pri me. A dedicare
l'intera sezione culturale alla "guerra della lingue " è El Pa«s di
domenica scorsa, dove una corrispondenza da Rio de Janeiro annuncia che i 27 membri della Commissione istruzione del Parlamento stanno per decidere di rendere obbligatorio nelle scuole elementari e medie lo studio dello spagnolo come seconda lingua accanto al portoghese. Come è noto, il Brasile è l'unico Paese latino-americano dove si parla lusitano; tutto il resto, dai deserti messicani ai ghiacciai della Terra del Fuoco, parla la lingua di Cervantes. Se passa la legge, un
esercito di 50 milioni di persone minori di 15 anni (su 165 milioni di
brasiliani) diventerebbe bilingue e lo spagnolo conoscerebbe un
formidabile balzo lanetario (secondo il linguista americano Steven Fisher, in futuro, le 6.800 lingue parlate nel mondo si ridurranno a tre: inglese, cinese, spagnolo). Il bilinguismo gioverebb e al Brasile nei rapporti con gli altri Paesi latino-americani, anche per il recente boom che ne ha fatto un Paese leader del continente. Il cammino della
legge, però, viene ostacolato dalle diplomazie francese (soprattutto),
britannica e italiana, allarmate per le ripercussioni economico-culturali in Europa, dove la Spagna diverrebbe l'interlocutore privilegiato del Brasile. A Madrid, infatti, già si pregustano i vantaggi per gli editori, per gli istituti culturali, per gli stessi scrittori ai quali si schiuderebbe un gigantesco mercato (i soli libri di testo porterebbero l'editoria iberica cifre da capogiro, pari a quasi tremila miliardi lire).
Dall'altra parte, secondo El Pa«s , le diplomazie di un'Europa in questo caso molto disunita si chiedono "quali conseguenze politiche, economiche e culturali deriverebbero dalla legge, tenuto conto del potenziale demografico del Brasile e della somiglianza tra le due lingue che favorirebbe l'apprendimento". Fra l'altro, qualcuno dissente all'interno della stessa Commissione carioca, argomentando che sarebbe meglio lasciare libertà di scegliere la seconda lingua alle singole scuole per non ridurre il Paese una sorta di monocultura iberica. A
Madrid, invece, sono pronti a brindare, non solo per i vantaggi economici: fior di accademici gonfiano il petto per l'avan zata del castigliano, in una sorta di sciovinismo linguistico. Il Brasile, in fondo, è l'unica terra sudamericana sfuggita alle brame coloniali dei loro sovrani. Ed è ora di rifarsi.
Cesare Medail
(c) Corriere della Sera 18.05.00