INTERVISTA Incontro con Viviane Reding, commissario europeo all'Istruzione e
alla Cultura: il vostro Paese ha parecchi deficit da colmare
ITALIANI rimandati in lingue e informatica
dal nostro corrispondente ANDREA BONANNI
BRUXELLES - Rifiuta di parlare di una "Maastricht della scuola", ma in
realtà il processo di raffronto e di omogeneizzazione dei sistemi educativi
europei è cominciato proprio sotto la sua guida, rompendo un tabù che durava
da quarant'anni. E non si fermerà tanto presto. Viviane Reding,
lussemburghese, commissario europeo alla Cultura e all'Istruzione, è al
centro di una gigantesca operazione che coinvolge i ministri dei quindici
Paesi e che ha lo scopo di migliorare la qualità dell'istruzione in Europa
stabilendo una serie di parametri e di raffronti tra i vari sistemi
scolastici. Un primo rapporto, pubblicato dalla Commissione l'anno scorso,
non è stato certo lusinghiero per l'Italia. Siamo poco sotto la media come
capacità di lettura. Molto al di sotto per quanto riguarda padronanza delle
lingue e utilizzo delle tecnologie informatiche. Siamo il solo paese dell'Ue
che non ha fornito dati sulla qualità di insegnamento di matematica e
scienze. Andiamo male in educazione civica. Abbiamo pessimi risultati per
quanto riguarda l'abbandono degli studi. Insomma: un disastro. Un secondo
rapporto è atteso per l'autunno.
Commissario, ma l'Italia è messa proprio tanto male?
"Quello che è chiaro è che in Italia ci sono parecchi deficit da colmare.
Che occorre un'azione politica per andare avanti. Ho visto con molto piacere
che il governo si muove. Vuol dire che ha capito che c'è un ritardo, ha
capito che occorrono sforzi particolari in questo settore. Per esempio, in
materia di insegnamento delle lingue, ho discusso a lungo con il ministro De
Mauro sul fatto che bisogna cominciare prima possibile, e non aspettare che
i bambini abbiano dieci o dodici anni. Credo che la riforma appena varata,
che avvia lo studio delle lingue all'età di sette anni, vada nella buona
direzione. Non bisogna dimenticare che, in materia di istruzione, dal
momento in cui una decisione politica è presa al momento in cui comincia a
dare risultati, passa parecchio tempo. Non si può certo pensare di fare la
riforma e avere riscontri immediati. Certe lacune richiedono tempo per
essere colmate. Non si può insegnare le lingue a tutti i bambini di sei anni
se non si hanno gli insegnanti preparati per farlo. In questo possono venire
di aiuto le nuove tecnologie, i programmi di insegnamento via computer".
Nel caso dell'Italia, però, a quanto sembra non abbiamo né gli insegnanti di
lingue, né le nuove tecnologie per sostituirli, né i formatori che preparino
all'uso delle nuove tecnologie.
"L'Italia sta mettendo in piedi le strutture per colmare questo deficit. E
evidente che, quando si parte da una situazione molto catastrofica, occorre
fare sforzi maggiori rispetto a quelli necessari nei Paesi che si trovano
già in una situazione media. E mi sembra chiaro che l'Italia dovrà fare
enormi sforzi per colmare questo deficit".
Vuol dire che in Italia l'educazione dovrebbe essere la priorità di
qualsiasi governo?
"Penso che abbiamo problemi dovunque in Europa, tranne forse nei Paesi
nordici. Dunque l'istruzione deve essere la priorità in tutti i Paesi. Certo
è più difficile risolvere il problema in Grecia che in Germania, che ha più
mezzi a disposizione".
Peraltro, se si guardano gli indicatori di spesa per studente, l'Italia
spende per le scuole primarie e secondarie quanto e più degli altri. E
allora, che cos'è che non va?
"E vero. E non sono in grado di dare una risposta. Ma le cifre assolute non
sono sempre indicative. Evidentemente si tratta anche di un problema di
qualità della spesa. Di come i fondi vengono utilizzati".
Ci sono forti discrepanze tra i vari Paesi?
"L'insegnamento in Europa non sarà mai omogeneo. Né vogliamo armonizzarlo.
Però, per esempio, i Paesi scandinavi hanno una attenzione particolare
all'insegnamento delle lingue e allo studio della matematica. In altri
Paesi, invece, il deficit in matematica comincia davvero a farsi sentire.
Gli scandinavi inoltre praticano già da tempo il lifelong learning ,
l'educazione permanente, che è essenziale nella nostra società".
Dal punto di vista della competitività, quali sono gli studenti europei
messi meglio?
"Impossibile rispondere. Possiamo dire che quelli che sfruttano la mobilità,
che riescono a studiare in un altro Paese, sono coloro che hanno una buona
padronanza delle lingue. Noi vorremmo creare un nuovo sistema, anzi,
ricreare un sistema antichissimo, quello del Medioevo: andare a cercare
l'eccellenza nei poli di eccellenza che ci sono ovunque. Il mio sogno è che
uno cominci gli studi a Bologna, li continui a Parigi e li finisca a
Berlino. Ma per questo evidentemente occorre padroneggiare le lingue".
Rispetto al resto del mondo, come definirebbe la situazione complessiva
dell'Europa?
"Direi che siamo in una situazione privilegiata. Perché in Europa esiste una
forte dimensione sociale dell'educazione. L'insegnamento è aperto a tutti,
non solo per qualche eletto o per i figli dei ricchi. Ed è una dimensione
che vogliamo salvaguardare. Certo, occorre formare un'élite, ma occorre
anche che il complesso della società sia ben preparato. Per questo ci
preoccupa tanto l' e-learning , l'utilizzo delle nuove tecnologie
nell'insegnamento. Non dobbiamo creare un nuovo fossato in Europa tra i
Paesi nordici che utilizzano queste tecnologie e quelli che ancora non lo
fanno".
E in confronto alle altre grandi potenze economiche, come Giappone o Stati
Uniti?
"I giovani giapponesi sono molto deboli nelle lingue, mentre hanno una buona
preparazione scientifica. Negli Usa ci sono enormi differenze sociali. Non
c'è pressione perché i giovani proseguano gli studi. Credo che gli Stati
Uniti abbiano molto da imparare da noi".
Ma non considera un fallimento il fatto che l'Europa si trovi a dover
importare centinaia di migliaia di tecnici informatici da Paesi in via di
sviluppo, come l'India o il Pakistan?
"Certo, è un fallimento. Non abbiamo saputo individuare in tempo
un'evoluzione che è arrivata molto in fretta. C'è un deficit di 1,7 milioni
di posti di lavoro nelle nuove tecnologie che non riusciamo a riempire. Ma
credo che sia stato uno shock salutare"
In che senso?
"Fino a qualche anno fa l'idea di stabilire raffronti qualitativi tra i
sistemi scolastici era semplicemente improponibile. Credo che la svolta sia
stata provocata proprio dall'emergere del deficit enorme di specialisti in
tecnologie informatiche, che ci costringerà a importare personale
qualificato lasciando indietro cittadini europei che non hanno la
preparazione necessaria. In termini umani è uno spreco incredibile. Se
vogliamo un'Europa competitiva occorre davvero fare le cose in fretta,
meglio e in modo coordinato. Non proponiamo una Maastricht dell'istruzione
perché, come ho detto, non cerchiamo di unificare i sistemi educativi. Però
occorre trovare soluzioni analoghe e compatibili dappertutto in Europa. E
fare le riforme necessarie in ogni Paese sarà indubbiamente più facile se
ciascun governo si troverà confrontato a una forte pressione a livello
europeo".
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