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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Mauro - 8 settembre 1994
Tentativo di un principiante di risolvere il problema delle pensioni.

Fino a qualche tempo fa credevo che il sistema pensionistico fosse quello che in termine tecnico si definisce "sistema a capitalizzazione" il cui il lavoratore che versa i contributi va a costituire, a capitalizzare con questi il proprio fondo pensione per poi veder tornare quei soldi al momento della pensione. E' questo il sistema credo più ragionevole, più semplice da capire e da attuare.

Ho invece constatato che le cose non stanno così. Infatti i contributi che il lavoratore versa oggi non sono per sé, bensì per gli attuali pensionati; in altre parole chi lavora "mantiene" chi ha già lavorato. E' intuitivo che questo tipo di sistema, che credo si chiami "a ripartizione", e credo sia presente solamente nel settore pubblico, necessita il rispetto di una condizione matematica: quella per cui il numero dei lavoratori é uguale, o quanto meno non inferiore, al numero dei pensionati. Solamente rispettando questa condizione il sistema può non solo essere efficiente, ma anche mantenersi in vita.

Il problema è che la situazione attuale vede proprio il mancato rispetto di quella condizione. Per cui se si vogliono continuare a pagare le pensioni è necessario o aumentare il numero dei lavoratori (o aumentare l'entità dei contributi) in modo da portare nuovi fondi nelle casse degli enti previdenziali; o diminuire l'importo delle pensioni (o diminuire il numero dei pensionati) in modo che i soldi versati dagli attuali lavoratori bastino per tutti i pensionati.

Cerchiamo di analizzare queste diverse ipotesi.

Abbiamo detto che l'obiettivo deve essere quello di continuare a pagare le pensioni (mi sembra quanto meno corretto).

Escludiamo l'ipotesi di aumentare il numero dei lavoratori di un numero sufficiente ad adeguare la domanda con l'offerta perché inattuabile nel breve periodo, richiedendo comunque dei sacrifici, diciamo così, congiunturali che andrebbero a colpire quegli sfigati che si trovano a dover percepire la pensione nel periodo destinato agli investimenti e non alla remunerazione.

Escludiamo anche l'ipotesi di eliminare fisicamente un numero di pensionati sufficiente a che i contributi versati dagli attuali lavoratori bastino a mantenere i superstiti.

Restano così due ipotesi: diminuire l'importo delle pensioni o aumentare l'entità dei contributi.

Fermo restando che sia nella prima che nella seconda ipotesi i sindacati si incazzerebbero a morte credo che la soluzione meno peggiore sia quella di diminuire le pensioni (escludendo anche l'ipotesi di aumentare l'entità dei contributi che ogni lavoratore dovrà versare per andare a colmare l' "eccesso di pensionati" in quanto il problema si ripresenterebbe tra uno o due lustri).

Ma ad una condizione: passare gradualmente a quel sistema a capitalizzazione secondo il quale ogni lavoratore si costituisce, attraverso il versamento dei contributi, il proprio (e quindi inviolabile) fondo pensione. Ciò porterebbe anche a separare in maniera netta il sistema previdenziale (basato sui contributi del singolo per se stesso) dal sistema assistenziale (per cui è lo Stato a farsi carico dei ceti più deboli).

Resta una domanda: i provvedimenti di cui ha parlato Dini , cioè, appunto, di una riduzione dell'importo delle pensioni (salvi fatti i diritti acquisiti) rientrano in una strategia di medio termine di trasformazione dell'intero sistema previdenziale?

 
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