Abbiamo chiarito che non è una questione di soldi (confesso che se fossi al vostro posto la considererei anche una questione di soldi). Quello che volete è, visto che fate i giornalisti, essere riconosciuti come tali. Va benissimo.
Ma una cosa è che i dipendenti di una azienda chiedano di essere considerati e trattati per quello che fanno (fate i giornalisti ed è non solo legittimo, ma sacrosanto che vogliate essere considerati tali); un'altra è chiedere che una legge dello Stato imponga a una azienda di applicare un determinato tipo di contratto ai suoi dipendenti.
E' vero che se qualcuno di voi volesse entrare in Rai o in qualche testata "ufficiale" non potrebbe farlo perché, pur facendo il giornalista, viene considerato un quasi "giornalista". Siamo d'accordo.
Assodato quindi che il vostro obiettivo è - giustamente - eliminare la discriminazione che c'è tra voi e i "giornalisti", le strade per raggiungerlo sono due: la prima è entrare a far parte dei "giornalisti": entrare cioé a far parte di una corporazione rispetto alla quale siete discriminati; l'altra è eliminare la corporazione e con essa tutti i privilegi - che hanno gli altri - e le discriminazioni - che subite voi - che questa genera.
Continuo ad esere sorpreso che vi siate schierati per la prima soluzione; continuo ad essere sorpreso del fatto che, per giunta, vogliate diventare "giornalisti" in forza di una legge (!); continuo ad essere sorpreso dei toni che usate (vedi Billau, Martini e comunicato congiunto Martini-Cesaretti-Reanda-Targia).
Per concludere un'informazione: avete intenzione di aderire allo sciopero dei "giornalisti" del 13 ottobre?
Mauro Sabatano