A Napoli sabato scorso la sinistra sociologica si è mobilitata prendendo spunto dalle proteste degli studenti contro il nuovo sistema di tassazione per l' iscrizione all' università, contro l' autonomia(?) universitaria, contro la privatizzazione(??) del sapere, contro il governo taglia-studenti (oltre che taglia-pensioni, taglia-sanità, taglia-servizi sociali etc).
Ancora una volta la sinistra detta "progressista" e sindacale non ha perso occasione per svelare la propria natura conservatrice di sè, del proprio potere burocratico e corporativo e soprattutto la propria volontà (ideologica) di disprezzare coloro che pretende di rappresentare, ingannandoli e strumentalizzandoli.
In realtà, l' aumento delle tasse d' iscrizione è dovuto ad un timido ed impacciato tentativo di riforma del governo Ciampi che ha affidato -dopo aver stabilito dei limiti sostanzialmente rigidi- una pseudo-autonomia finanziaria alle Università.
Per ciò che concerne l' ateneo federiciano, all' interno del bilancio di previsione, l' aumento della voce in entrata riferentesi ai versamenti degli studenti è poco inferiore al 15% (7 miliardi su 49 circa).
Le triplicazioni o quadruplicazioni delle cifre che gran parte degli studenti andranno a pagare, emergono da un disposto combinato tra criteri di reddito e merito (stabiliti dal governo) che la maggior parte degli studenti non possiede. Per coloro che posseggono tali requisiti, infatti, i livelli di tassazione sono pressocchè invariati ed anzi è stato introdotto un sistema di rimborsi, agevolazioni e borse di studio che abbassa i costi rispetto agli scorsi anni accademici.
Il limite della protesta studentesca e delle modifiche apportate dal cda e dal ministro Podestà è principalmente dovuto al fatto che gli interventi sono stati indirizzati a modificare i criteri di reddito che appaiono quelli più giustificabili (ad es. per una famiglia di quattro componenti il limite max per possedere il requisito di reddito oscilla intorno ai 65 milioni di reddito complessivo lordo annuo).
Meno interesse e dibattito c'è sui criteri di merito che si fondano sostanzialmente sul concetto della rapidità con la quale si sostengono gli esami : non conta il livello di valutazione o maturazione, ma solo il numero di esami superati nel periodo di tempo assegnato. Tale numero -ai sensi del decreto governativo- dovrebbe risultare dalla media degli esami superati dagli studenti iscritti nello stesso anno accademico e nello stesso corso di laurea. Il decreto prevede altresì che in mancanza dei suddetti dati-media il numero sia definito da almeno la metà del numero complessivo degli esami degli anni precedenti a quello di iscrizione previsti dal piano di studi del rispettivo corso di laurea. Nessun cenno o riferimento è fatto alla media-voti configurando una situazione paradossale per la quale uno studente che abbia sostenuto un solo esame in meno del numero assegnato, paghi il doppio rispetto ad un altro studente che abbia sostenuto il "numero legale" di esami anche se la media-voti del primo è notevolment
e più alta del secondo.
Sotto questo aspetto, il decreto andrebbe urgentemente modificato in quanto sottende una visione del merito basata sulla velocità :
è come se lo stato dicesse "non importa ciò che impari ma solo che tu esca nei tempi stabiliti dalla legge dall' ambito universitario".
Modifiche in questo senso, però, non sembrano in vista.
A parte queste valutazioni specifiche, un discorso più generale sull' Università non riesce ad emergere se non come necessità contingente ed opportunistica della sinistra sociologica di abbattere questa riformetta ma solo per tornare allo status precedente.
Nessuna parola è stata spesa - e non poteva essere altrimenti - contro la corporazione dei docenti, vera monopolista del sapere, che è stata fondamento del regime partitocratico al quale ha fornito sia una giustificazione che una copertura ideologica. In cambio il regime le ha assicurato il mantenimento dei privilegi, il potere di controllo sulla formazione dei ceti dirigenti, il monopolio della cultura ufficiale (di regime), delle fonti del sapere, della scienza e della coscienza.
In cambio e' stata garantita l' assenza di libera concorrenza, di mercato, di meritocrazia, di qualsiasi forma di selezione che non fosse partitocratica, burocratica, corporativa.
Prima che il diritto allo studio è stato violato il diritto all' insegnamento.
Il problema dell' autonomia universitaria e più in generale della Riforma va analizzato in questo contesto ma, evidentemente, ciò non è possibile per la sinistra storica e sociologica che occupa postazioni privilegiate nella baracca-università dimostrando le proprie fondamentali, indispensabili, strutturali responsabilità
nel regime partitocratico.
Anche nell' Università c'è bisogno di una dose massiccia di liberismo, libertarismo e antiproibizionismo.
C' è bisogno di una rivoluzione liberale che restituisca ai cittadini la libertà di poter scegliere le forme storiche e particolari in cui si incarna -in un dato momento- il diritto (allo studio, all' insegnamento, alla gestione del proprio tempo interiore).
Napoli, 25 Ott 94
Rino Spampanato