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Somma Emmanuele - 30 novembre 1994
Università: Censurato l'intervento sulla Libertà di Cultura.

Per Informazioni:

Emmanuele Somma Via S.Marta, 57 56100 Pisa tel./fax. 574379

Pisa, 30 Novembre 1994

Stamattina ho partecipato all'Assemblea degli Studenti Iscritti alla Facoltà di Ingegneria dell'Università di Pisa.

I partecipanti erano molti meno del 5% degli iscritti alla Facoltà ma si sono auto-legittimati a rappresentare tutti gli altri - non si sa bene sulla base di quale considerazione.

Non è stato adottato né un regolamento d'assemblea, né una tabella dei tempi, ma solo un ordine del giorno.

Durante la discussione del primo punto all'ordine del giorno (Proposte in merito ai problemi dell'Università) ho chiesto e mi è stata concessa la parola, ho cominciato a leggere il mio intervento ma non ho avuto modo terminarlo perché la presidenza lo ha censurato senza addurre motivazioni ufficiali ma semplicemente sottraendomi il microfono.

Le confuse motivazioni che ho sentito urlare dalla folla riguarderebbero la *presunta* non corrispondenza del mio intervento al punto all'ordine del giorno da trattare -che chiunque può valutare da sé semplicemente leggendolo, ma sicuramente né i partecipanti all'assemblea né il presidente potevano valutare non conoscendolo- o la lunghezza del testo -che chiunque, senza le continue interruzioni che ho dovuto subire in assemblea, può leggere in meno di dodici minuti, un tempo accettabile, ritengo per una assemblea con il blocco totale della didattica di una completa giornata.

Il presidente dell'assemblea -consapevole della propria responsabilità civile e penale- invece di garantire a tutti il diritto di parola ha preferito porsi dalla parte della maggioranza dei presenti e intervenire ripetutamente durante il mio discorso per evitare che io continuassi e infine per togliermi la libertà di terminarlo.

Non faccio alcun commento perché non ce ne è bisogno.

Non esprimo alcun giudizio perché spetterebbe ad altri.

Emmanuele Somma

In allegato il testo dell'intervento censurato dall'Assemblea degli Studenti della Facoltà di Ingegneria dell'Università di Pisa

Pisa, 30 Novembre 1994

Cari amici studenti, questa volta non sono d'accordo.

Si convocano assemblee e comitati, si da' parvenza di dibattito a quello che confronto non è ma è il solito vecchio rituale della minaccia sociale di una protesta che non ha nessuna voglia di scoppiare, perché non ce ne è motivo.

Il motivo non c'è non perché questa università sia un modello di efficienza, né perché sia aliena da problemi, casuali dovuti all'inesperienza (e a volte all'incapacità) del proprio personale o persistenti dovuti alla struttura contorta a assurda che la burocrazia ha scelto per ordinarla.

Il motivo non c'è perché per meno di tremilacinquecento lire al giorno questa università ci dà sicuramente molto:

spesso un mondo nuovo e diverso, occasioni ed opportunità di vita che altrimenti difficilmente avremmo --parlo sopratutto ma non solo per i tanti, come me, "trapiantati" completamente in una nuova realtà locale e venuti da molto lontano. Per sole tremilacinquecento lire al giorno, salvo godere di --ampissime-- agevolazioni!

La mia partecipazione in questa università ha un costo che con precisione non conosco ma di cui so di pagare solo una piccola parte. Questo lo riesco a vedere direttamente con i miei occhi e a dedurre con le mie --limitate-- capacità logiche tutti i giorni che la frequento.

E in questi anni, da semplice "studente", da "delegato" nelle commissioni e nei consigli, da "referente" di un servizio autogestito della mia Facoltà, di un altra cosa mi sono accorto, aumentando i soldi di cui la Facoltà poteva disporre (vuoi per l'aumento degli iscritti, vuoi per l'aumento delle tasse universitarie) aumentavano i servizi e gli spazi per gli studenti. Questo non può negarlo nessuno --specie per ciò che riguarda gli ultimi 4 anni ad Ingegneria dove io sono iscritto.

E questi spazi e servizi, di cui io mi servo poco per la verità, servono sopratutto a coloro che non hanno la possibilità di spendere altri soldi per trovarsi un buon posto dove studiare, o mangiare, o fare qualcosa di utile o anche perder tempo.

Per questo non manifesterò contro l'aumento delle tasse --che anzi neppure ritengo adeguate. E non manifesterò neppure contro la finanziaria perché solo l'irresponsabilità civile, a cui *questa* Università --purtroppo-- educa, può portare qualcuno a non sostenere le misure di contenimento del debito in essa contenute avendo chiara all'orizzonte la prospettiva di una bancarotta dello stato.

Anzi, per dirla tutta, non manifesterò *contro* nulla.

Perché "manifestare *contro*" non fa parte della mia cultura perché "manifestare *contro*" è solo il sintomo della carenza della capacità di analizzare, proporre e di costruire, perché "manifestare *contro*" non ha obiettivi da conquistare, è estremamente noioso, scatena solo violenza verbale e concentra gli sforzi solo per limitare la libertà di coloro i quali non hanno interessi nella protesta, e infine prov oca un istinto di gruppo o etnia che lascia emergere sempre conformismo e banalità -- insomma quello che l'attuale movimento degli studenti ci ha lasciato vedere.

Purtroppo. Non sosterrò in nulla e per nulla qualsivoglia decisione presa da qualunque assemblea che non rispetti le rigorose regole democratiche, anzi mi opporrò --con tutto me stesso, se necessario-- perché sia rispettato il diritto e la democrazia. Laddove per "democrazia" s'intende la legge scientifica delle quantità e non la legge morale delle qualità che dai pulpiti assembleari sento ripetere in ogni intervento. E per "diritto" s'intende la legge scritta nei codici e presa alla lettera e non quella "applicata come tira il vento" sulle fiamme delle nostre forze dell'ordine.

Peccato, però!

Peccato perché qualunque studente come me sa benissimo che ci sarebbero temi sui quali la mobilitazione sarebbe massiccia e che esistono metodi condivisi da tutti gli iscritti alle facoltà e non solo da quelle poche centinaia di esaltati che frequentano solitamente le assemblee e che pretendono di tenere in "ostaggio" tutti gli altri secondo un contorto modo di intendere la democrazia. Perché i metodi di lotta validi oggi non sono certo le occupazioni violente e senza scopi di aule, scuole, piazze o città.

Sostenere che i temi della Libertà di Cultura e della Liberalizzazione dei Piani di Studio non vengano toccati perché scatenerebbero veramente una protesta seria, impossibile per i Comitati Centrali del Partito Corporativo Universitario Sindacale da arginare superata la Finanziaria, non è una barzelletta.

Eppure basterebbe poco. basterebbe Lasciar balenare agli studenti l'idea che la legge 382/1980 (all'articolo 94 comma 2 punto 2) e lo statuto d'ateneo (all'articolo 27 comma 1 punto b) limitano --questi sì-- il diritto a costruirsi una base culturale libera e individuale imponendo i controlli *arbitrari* dei Consigli di Corso di Laurea sui Curricula Individuali --quindi sulla vita, le speranze e gli ideali di ciascuno degli studenti-- consigliando "obbligatoriamente" materie che difficilmente gli studenti liberamente sceglierebbero.

Tutto in nome di un paternalismo di stato e d'ateneo che probabilmente non è né richiesto né "accettato" dagli stessi professori a volte "obbligati" , a volte ben felici di tenere corsi ingrossati artificialmente e spesso inutili alle necessità formative, basati raramente sulle esperienze corrispettivi delle Università europee o americane.

Questo paternalismo d'ateneo sicuramente non fa onore alla intelligenza dei suoi professori che potrebbero rimaner liberi di attivare insegnamenti "meno popolosi" ma assai più stimolanti e più legati alle proprie ricerche --come la legge richiederebbe-- e certamente è almeno controproducente verso gli studenti che potrebbero trovare --cosa più unica che rara nel sistema scolastico italiano-- la libertà di coltivare ciascuno la propria responsabilità operando anche scelte non-conformiste e costose sperimentaando sulla propria pelle senza che a nessuno venga arbitrariamente affidato il compito di controllare cosa è giusto e cosa è sbagliato nei desideri degli studenti, sulla pelle degli altri.

Questo paternalismo di uno stato etico che --rinnegando le proprie professioni di fede liberale e democratica-- non dovrebbe permettersi di far "scegliere" a commissioni di fantomatici saggi la cultura più adatta per i propri figli.

Questa sì che sarebbe una bella battaglia da combattere e vincere. Perché l'abrogazione di quelle norme sancirebbe inequivocabilmente la vittoria. Perché scardinerebbe il nucleo della struttura corporativa che tiene in ostaggio l'università e la cultura in Italia. Perché ridarebbe agli studenti --di tutte le età-- la voglia di tornare nelle Università a studiare per i propri interessi e per i quali sarebbero ben felici di pagare. Perché risorgerebbero gli insegnamenti con l'antico splendore valorizzando le capacità dei professori universitari. Perché restituirebbe all'Università la dignità perduta nel lungo e oscuro periodo in cui si è trovata ad essere solo un burocratico e insofferente Esamificio collettivo.

Una idea per la quale varrebbe veramente la pena di raccogliere tanti bei: "SI'".

Infine:

Io non ci sto! Non ci sto!

Una protesta, un corteo, una occupazione è un atto importante di disobbedienza civile, grave, tremendamente grave. Ed è mancanza di rispetto per sé stessi e per la propria dignità umana organizzare e partecipare ad una protesta così radicale e poi accettare la tesi che non si tratti di una deliberata rottura della legalità. Con tutti i rischi che questo comporta: con gli arresti, i processi e la galera, anche.

Appoggiare o adottare la tesi --che si è sentita ogni giorno sui giornali e ora anche al parlamento, nelle interrogazioni parlamentari-- da parte delle opposizioni ma sicurissimamente anche da parte di alcuni ministri di questo governo (perché a loro, opposizione e governo, fa comodo così) che questi atti illegali così duri e gravi che gli studenti stanno mettendo in atto in tutta Italia siano solo "scherzi di bambini", pisciatine fuori dal vaso, cose da poco.

Questo è indegno della nostra intelligenza --perché su quella di quel ministro, almeno in questo caso, permettetemi di dubitare.

Io non ci sto! Da cinquant'anni il costume di questo Paese non è l'intolleranza, ma l'ammiccamento, verso le opposizioni, verso i sindacati, verso le piazze.

Il fingere --a noi stessi-- che scendere in campo sostenendo queste proteste non siano un gesto drammatico di grande significato politico può misurare solo la nostra disonestà intellettuale.

Io non ci sto! Se si deve protestare --per difendere il diritto e la libertà-- lo si faccia *contro* lo stato e non *protetti* dai carabinieri, che è ridicolo.

Grazie

Emmanuele Somma

--- MMMR v3.50unr * Teng'a capa pe' spart' 'e rrecchie

 
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