Mi sembra però che le leggi 276 e 277 avessero subordinato l'abrogazione della normativa precedente all'entrata in vigore dei decreti attuativi necessarî a rendere compiutamente operativo il nuovo sistema elettorale, e che quindi ad esse non possa riferirsi il terzo periodo del testo, in cui l'autrice ipotizza una situazione di vuoto legislativo che potrebbe verificarsi nel corso della sostituzione di una legge elettorale con un'altra.
Non so inoltre se l'autrice, che attribuisce alla sentenza della Corte la responsabilità di aver "aperto un varco pericoloso che può essere utilizzato per aggirare il principio di rappresentatività delle Camere", condivida anche le tesi di chi riteneva che i referendum dovessero essere ammessi sic et simpliciter per consentire al popolo di esercitare la propria sovranità. Mi auguro di no, perché l'enunciazione della sovranità popolare mal si concilierebbe, a parer mio, con l'adesione al principio, di dubbia democraticità, che l'esigenza di assicurare la continua rappresentatività del sistema possa autorizzare il Parlamento a differire sine die la penetrazione nell'ordinamento giuridico degli effetti abrogativi referendarî.
Approfitto infine dell'occasione per chiedere a coloro che, pur proclamandosi sostenitori del modello istituzionale anglosassone, hanno prematuramente festeggiato il carnevale per -a quanto sembra- influire sul giudizio della Corte costituzionale relativo ai referendum, e che poi -insoddisfatti delle sue decisioni- l'hanno definita cupola del vecchio regime, se ritengano un colpo di mano anche la sentenza con cui la Corte Suprema degli Stati Uniti, ormai oltre trentotto lustri fa, nel silenzio della legge fondamentale affermò la propria competenza a verificare la legittimità costituzionale delle leggi approvate dal Congresso.