La spinta verso il presidenzialismo in un sistema ancora a logica proporzionale - La contrapposizione tra Berlusconi e Prodi rende urgente un "tavolo" di confronto tra i partiti per correggere il sistema elettorale
di Mario Chiavario
(il Sole 24-Ore, giovedí 2 marzo 1995)
Prodi for President? E' riduttivo e fuorviante vedere nella sfida lanciata dal professore bolognese solo la copia, eguale e contraria, dell'operazione avviata con l'ingresso in politica di Silvio Berlusconi. C'è invece la speranza che, al di là di alcune analogie di tecnica della comunicazione, l'iniziativa riesca a essere davvero alternativa, non tanto per gli schieramenti che può prefigurare, quanto per sostanziali differenze nell'approccio ai problemi del Paese e nello stesso modo di cercare consensi.
E' d'altronde innegabile che l'iniziativa di Prodi accentua oggettivamente un fenomeno già ben visibile: la tendenza alla polarizzazione delle scelte elettorali attorno alla persona di un leader. Piaccia o no, contribuisce insomma ad alimentare un clima di confronto molto simile a quelli dei sistemi piú o meno marcatamente presidenzialisti: peraltro, entro una cornice pensata per un sistema assai diverso.
Difficile contestare questa constatazione. Semmai, si potrebbe osservare che oggi scontiamo anche le scommesse giocate, avventatamente o in mala fede, nella scorsa legislatura: quando si andò alle urne prima di stabilire dei punti fermi sul complesso delle regole necessarie per la situazione istituzionale che si sarebbe venuta a creare con la legge maggioritaria, chiunque fosse stato il vincitore.
Comunque, di fronte all'indiscutibile accentuarsi del rilievo dei leader non c'è né da esaltarsi, né da scandalizzarsi. Il fenomeno ha molto di positivo, nel superamento di tanti equivoci del passato. Ma c'è da riflettere a tutto campo sulle conseguenze, senza limitarsi a dedurne che ora occorrerebbero soltanto riforme "piú coerenti": come l'elezione diretta del capo dello Stato o del Governo, magari associata all'uninominale secca a turno unico per la formazione delle assemblee parlamentari. Piuttosto, diventa sempre piú urgente stabilire delle regole di "checks and balances", come sempre si è fatto laddove non si è voluto che il presidenzialismo degenerasse in dittatura o in caudillismo. Piú che mai sono, insomma, necessari dei contrappesi per evitare che, istituzionalizzata o meno, una dinamica imperniata su forti "leadership" possa mettere in pericolo garanzie fondamentali.
Ciò non vuol dire che si debbano abbandonare obiettivi essenziali e tuttora lontani, anche perché ci si illuse di raggiungerli automaticamente con la correzione maggioritaria del sistema elettorale: stabilità governativa e trasparenza di impegni tra i politici e l'elettorato. C'è, però, anche bisogno di impedire che, con la scusa di meglio realizzare tali obiettivi, si alterino i caratteri di fondo e i valori permanenti della democrazia voluta dalla nostra Costituzione: autenticamente pluralista e scrupolosamente rispettosa della libertà e dei diritti di tutti. Né il discorso va circoscritto al problema dell'antitrust, per quanto centrale, nella misura in cui investe la questione della proprietà dei mezzi di comunicazione, inparticolare televisiva.
E' importante impegnarsi a definire per tempo tutta una serie di regole di contesto o, per cosí dire, di seconda battuta: quelle che non lasciano senza ritorno i risultati elettorali e, tanto meno, gli effetti dell'accresciuto peso dei leader e del loro rapporto diretto con l'elettorato.
Personalmente, sono convinto che il perno di un sistema, insieme efficiente ed equilibrato, potrebbe essere rappresentato da un doppio e ben diversificato meccanismo elettorale: con l'obbligo, da un lato, di una scelta netta per il Governo, e pertanto con l'elezione su base maggioritaria (meglio se a due
turni) di una Camera chiamata a sostenere con la sua fiducia una guida ben visibile, all'insegna di un criterio di massimo favore per la semplificazione degli schieramenti e per la stabilità governativa; ma, d'altro lato, con l'elezione di una seconda Camera non già destinata a essere una copia, piú o meno conforme, della prima e chiamata piuttosto a rappresentare, nel modo piú articolato possibile, le diverse realtà del pluralismo e a essere fondamentale presidio di garanzia.
La concentrazione in una sola Camera -eletta con il sistema maggioritario- del rapporto di fiducia con il Governo aiuterebbe, verosimilmente, a por fine alle incertezze e alle oscillazioni sulla linea da stabilire quando si ha a che fare con problemi come quelli delle manovre finanziarie, delle scelte fondamentali di politica dell'amministrazione, e così via. Peraltro, le garanzie di equilibrio -senza scapito per la governabilità- sarebbero, piú di quanto non accada oggi, rappresentate dalla presenza di un secondo ramo del Parlamento, espressivo di una rappresentanza rigorosamente proporzionale su scala nazionale (eventualmente integrata da rappresentanti regionali), funzionante con regole interne di estremo rigore (come quelle imperniate sulla necessità di maggioranze particolarmente elevate per tutta una serie di decisioni) e competente -sino al potere di veto- su tutto quanto dovesse implicare intervento sui diritti fondamentali dei cittadini, cambiamento delle essenziali regole dei rapporti tra le for
ze politiche e sociali, o designazione dei "garanti" di quelle regole (giudici costituzionali, componenti del Csm, e cosí via).
Resta il fatto che, a campagna elettorale di fatto già avviata, è troppo tardi, o troppo presto, per poter parlare operativamente di questa o altre soluzioni, piú o meno utopistiche. Ma non è eccessivo chiedere che, in un auspicabile "tavolo" cui siedano tutte le forze politiche, si assuma quanto meno l'impegno a non lasciare senza risposte, per il presente ma soprattutto per il dopo, la questione delle garanzie necessarie a bilanciare i rischi di una degenerazione autoritaria o plebiscitaria del confronto in corso.
Non è necessariamente la stessa cosa della proposta di una nuova Assemblea costituente, almeno se questa -come sembra pensata da taluni- dovesse essere null'altro che uno strumento per sbarazzarsi delle regole stabilite dalla Costituzione vigente per la propria revisione. Al contrario, si tratta di vedere se ci si può mettere d'accordo anche per potenziare quelle regole, contro ogni colpo di mano. O, quanto meno, di capire chi ci sta e chi intende soltanto avere mano libera per fare ciò che vuole.