riletto e che trovo molto significativa in merito alla questionesocialista e liberale.
LA NONVIOLENZA: IL CROMOSOMA RADICALE
di Roberto Cicciomessere
Se qualcuno volesse definire il "pensiero" del Partito radicale, se
volesse cioè isolare il "cromosoma" di cui è rilevabile l'impronta in
ogni sua espressione politica e scoprire la ragione essenziale e
costitutiva del "fenomeno" radicale - nel suo esatto significato
scientifico, di manifestazione degna di osservazione e di cui si
studiano le cause - dovrebbe soffermarsi in primo luogo sul significato
della scelta nonviolenta. Dovrebbe chiedersi perché un partito di
rigorosa osservanza laica a pieno titolo testimone della cultura
occidentale abbia scelto di rischiare il ridicolo affidando
all'immagine un pò naif di Gandhi la sua rappresentazione esterna,
facendone il proprio simbolo.
Scoprirebbe così che la "posta" della scommessa radicale, che ha spinto
- quasi trent'anni fa - persone di diversa estrazione politica, ma con
identica fede nel socialismo liberale, ad associarsi nell'impresa
radicale, era quella di dare compiutezza alla "democrazia politica".
Erano convinti che ciò sarebbe stato possibile solo se fossero riusciti
a far penetrare nella civiltà del nostro tempo la cultura della
nonviolenza politica; se fossero cioè riusciti ad affermare l'urgenza
politica di non rassegnarsi ad accettare la violenza, verso la persona,
la società e lo Stato, o anche verso il suo ambiente naturale, come
tributo storico obbligatorio da pagarsi in nome della civiltà, della
rivoluzione o del "progresso".
Per vincere questa scommessa dovevano interrompere la continuità
storica con quei filoni prevalenti, sia della cultura liberale che
della socialista, che postulavano il "dovere" di prendere le armi
contro il nemico della patria o di classe, e che associavano
indissolubilmente alla affermazione della giustizia la decapitazione
dell'ingiusto.
Con sofferenza, i migliori esponenti di queste culture vivevano la
contraddizione fra i motivi ideali ed iniziali della Rivoluzione -
quelli di fratellanza, di uguaglianza, di libertà e di tolleranza - e
la dura necessità di doverli negare nella lotta armata,
nell'esaltazione della violenza giusta, spesso nel terrorismo. Ma si
rassegnavano a pagare il tributo di sangue e l'amputazione di valori
perché accettavano come insuperabile la contraddizione ideale fra mezzi
e fini, in quanto l'unica alternativa concepibile appariva essere
un'altra forma di rassegnazione, ancora più violenta: l'accettazione
passiva dell'ingiustizia, del totalitarismo, dello sfruttamento...
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Forse Salvidio, non comprende che Pannella immedesima quella stessa
fede nel socialismo liberale citato da Roberto Cicciomessere e confonde
questo con quello. E' quindi, secondo voi, legittimo sostenere che una
persona, per fare piacere ai suoi elettori debba oscurare la propria
storia, solo perchè la parola "socialista" è passata di moda o ricorda
troppo da vicino l'esperienza di un passato regime che ha in gran parte
(e qui Salvidio ha ragione) obnubilato il cervello di molti, ma che non
ha nulla a che vedere con il socialismo, appunto "liberale", da cui
proviene Marco? Attenti, però. Qui si parla dell'identità politica di
una persona dabbene, di un leader nonviolento, non di un colpevole o di
un peccatore o peggio di un incapace in termini di comunicazione. E il
diritto all'immagine e all'identità? Non è che andare in TV sia poi
così facile come Salvidio pensa. Roberto Cicciomessere, proseguendo nel
suo intervento pone anche l'accento sulle "nuove forme di espressione
di dialogo quando la violenza del Quarto Potere (la stampa,
l'informazione) diviene più sofisticata". Forse Salvidio non apprezza
il modo in cui Marco va in TV, perchè è proprio la TV a trasmettergli
questa impressione, a manipolare e strumentalizzare le sue parole, la
sua immagine. Ma allora a cosa servono le critiche di quel tipo? Non
certo ad aiutare la Lista Pannella. Non certo a fare comprendere agli
italiani che tante moine e tanti salamelecchi "polari" nascondono per
davvero un modo di intendere la politica confuso e inconcludente.
Quanti, come diceva Pannella da Nuccio Fava, dei 44 o 45 milioni di
elettori italiani, sapevano fino a quella sera che egli si presenterà
in Lombardia e in Puglia?
Quanti passaggi ha avuto Prodi in TV e sulla carta stampata con la sua
carovana di ulive e ghiande, con scene preparate a regola d'arte per
far vedere che la gente acclama al suo passaggio? Eppure, io il
programma, gli obiettivi del nuovo "spremi ulive" manco li conosco
(posso solo immaginarli!), non ha detto nulla che poi si trasformi in
qualcosa di concreto per il Paese. Marco, di tutto questo, non può
essere accusato. Sarebbe ingiusto, irrazionale. Semplicemente falso.
--- MMMR v3.60unr