"Cce' pocu cchi fari chissu e' primo processo di Caselli". Sostando negli austeri corridoi del palazzo di giustizia di Palermo, tra una pausa e l'altra del processo Contrada, mi e' capitato piu' di una volta di dover ascoltare questo tipo di concetto. "C'e poco da fare - diceva uno dei tanti "residenti" del palazzo - questo e' il primo processo di Caselli". Il Caso Contrada è un tantino diverso da tutti gli altri. Imbarazzante sopratutto per "l'ottimo" presidente della V sezione penale che ho avuto modo di conoscere in diversi processi seguiti per Radio Radicale.
In questi anni il Presidente Ingargiola ha presieduto importanti processi ed emanato sentenze tutt'altro che "esemplari": dal processo per associazione mafiosa contro l'ex sindaco Vito Ciancimino (in galera) fino al processo "mafia&appalti" che ha portato sul banco degli imputati alcuni degli esponenti di punta delle holding di controllo degli appalti incluso un tale Angelo Siino, meglio conosciuto come "l'ambasciatore di Riina".
L'aggettivo "ottimo" nei confronti di Ingargiola non e'solo attribuito alla straordinaria disponibilita' concessa ai microfoni di Radio Radicale ma anche per il suo indiscusso senso della giurisdizione, sempre esercitata con il giusto rigore e nel piu' assoluto rispetto dell'equilibrio tra le parti in dibattimento (cosa non sempre facile con il c.d. nuovo codice ed i successivi stravolgimenti). Una delle peculiarita' che vanno riconosciute alla quinta sezione penale del tribunale che dovra' giudicare Bruno Contrada, va individuata anche in una altra importante risorsa: il giudice a latere Salvatore Barresi, memoria storica della magistratura palermitana che - al contrario di molti magistrati - ha sempre fatto il suo lavoro con discrezione senza esibirsi con i consueti atteggiamenti della Societa' Civile S.p.A.
Se da un lato pero' puo' rendersi necessario spendere qualche nota positiva nei confronti del collegio giudicante piu' "gettonato" della cronaca giudiziaria di questi giorni, dall'altro, non si puo' rimanere esenti dagli effetti pericolosi del messaggio che e' stato sommessamente lanciato sin dall'inizio di questo incredibile procedimento. Stabilire infatti l'assoluta estraneità di Contrada all'associazione mafiosa, significa "sconfessare" la procura di Giancarlo Caselli anche quando l'impianto accusatorio, in un processo come questo, si presenta piu' inconsistente della pasta frolla. Il rischio che puo' nascere dal Caso Contrada - non sottovalutiamolo - sta nel compromettere con precedenti "esemplari", principi sacrosanti del diritto come la serenita' del giudice ed il suo libero convincimento.
Ricordo perfettamente le prime udienze del processo Contrada. In modo particolare quando perfino i primi quattro-cinque testimoni citati dall'accusa, si ritorcevano contro gli stessi pubblici ministeri. In una di quelle udienze eravamo come sempre seduti, taccuini in mano, io ed i miei colleghi. Ascoltavamo con attenzione l'esame di uno di questi testimoni da parte di un PM quando, ad un certo punto, alle mie spalle, nella zona riservata al pubblico, arrivo' una signora anziana. Se ne incontrano frequentemente, pensionate, di quelle che non perdono una puntata di " Un giorno in Pretura" o dello "Speciale Giustizia" e che, appena possono, non perdono l'occasione per partecipare "dal vivo" ai grandi processi. E proprio mentre stava parlando il PM, questa simpatica signora si fa viva con una pacca sulla spalla chiedendomi: "mi scusi... quello che sta parlando...e' l'avvocato di Contrada?".
Ironia a parte, cosi' come si possono manifestare riconoscimenti nei confronti del collegio giudicante, allo stesso modo, non vi e' alcun ostacolo a evidenziare altrettanti meriti nei confronti di alcuni dei validissimi magistrati della direzione distrettuale antimafia che negli stessi processi gia' presieduti da Ingargiola, hanno saputo confermare impianti accusatori, istruiti in tempi decisamente difficili per gli uffici della procura palermitana. Contrariamente pero', quel fascicolo monumentale del processo Contrada, purtroppo, appare cosi' contradittorio a tal punto da renderlo totalmente diverso rispetto ad altri. La vicenda del pentito mazzarese Spatola - ad esempio - ne e' la prova. Credete davvero che l'allora Capo della Mobile di Palermo, conosciuto in citta' oltre che per l'incarico istituzionale ricoperto - anche perche' noto "viveur" - (del resto, non e' un mistero, Contrada amava "uscire" la sera) si incontrava in uno dei piu' famosi locali di Palermo con un altrettanto noto personaggio come il
boss Rosario Riccobono?
Dalla palude palermitana intanto, continuano a giungere messaggi e segnali fuori dibattimento.
Il parere favorevole dei PM sulla scarcerazione di questo poliziotto di razza ha infatti indotto Enzo Biagi, dalle colonne del Corriere della Sera, a constatare il rischio che "il dottor Bruno Contrada non puo' inquinare le prove, non c'e' pericolo che scappi, non puo', eventualmente, riprendere contatti con le cosche: ormai e' stato scoperto"...
Non auguro nessuno di trovarsi in questo momento nei panni dei giudici della quinta sezione penale, certamente non perche' sprovveduti di un qualsiasi senso dello stato di diritto e se vogliamo anche di una volonta' antagonista al sistema mafioso, ma perche' si tratta di affrontare forse una sfida culturale che da anni divide Palermo. Tra chi come diceva Sciascia "non credo che debba essere altoatesino, ma comunque dovrebbe comportarsi come tale, benche' ritengo che a molti siciliani si debba questa lotta contro la Mafia" e tra chi, invece, continua imperterrito a celebrare Falconeidi e Borselliniadi sotto l'egida logorata della Societa' Civile S.p.A.