Bruxelles, 19 agosto 1995
"La ferocia, non solamente l'accanimento, con cui è perseguitato Calogero Mannino, è pari solamente alla viltà ed alle paure di troppi che sapevano e che non hanno reagito fin quando la Signora Mannino non si è assunta la responsabilità di rendere pubblica la vicenda.
Ma dietro questa ferocia, che non può nulla avere a che vedere con la giustizia, non vi è, di certo, malvagità e ferocia gratuite, private, di questo o quel magistrato o gruppi di magistrati.
Di già al tempo dell'assassinio di Salvo Lima ebbi a sottolineare come molte parti dello Stato presenti in Sicilia sul fronte dell'ordine pubblico, dell'amministrazione della giustizia, mostravano e mostrano da tempo una particolare capacità di perseguitare chi è sospetto di avere rapporti con le mafie "perdenti", di fungere da appendici agli attacchi politici di chi - evidentemente - ha minore forza di denuncia e di lotta nei confronti della mafia "vincente".
Calogero Mannino è in carcere, ormai, chiaramente, contro la giustizia, contro i codici e la Costituzione. E' un prigioniero di guerra, trattato con la sommarietà della giustizia militare al fronte, sospetto di "intelligenza con il nemico", dal quale si esigono informazioni. Non mi importa quanti siano i magistrati che avallano questa situazione. Non mi impressiona il numero, in questi casi: contro Tortora, contro la verità, contro la giustizia, i magistrati impegnati furono circa quindici.
Se non si volesse, una volta per tutte, ricordare che i responsabili dell'accusa pubblica non sono giudici, non lo sono per la Costituzione, non lo sono per la cultura degna di questo nome, non lo sono, oggi, molto spesso, nemmeno nell'animo, e sono o si comportano tutt'al più come angeli giustizieri, quando sono angeli, la vicenda Mannino sta a dimostrarlo."