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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Sergio - 1 settembre 1995
LA REPUBBLICA - 29 AGOSTO 1995
SPINELLO, FRUTTO PROIBITO

(fondo di I pagina)

di Giovanni Valentini

Marco Pannella, l'happening di Porta Portese e la legge sulla droga. Per una volta proviamo a lasciare da parte la politica e a ragionare fuori dagli schemi convenzionali, fuori dalla logica di appartenenza o di schieramento. Tanto più che l'ultima provocazione del vecchio leader radicale, se è vero che ha messo a nudo le contraddizioni più profonde del Polo di centrodestra, è destinata a provocare tensioni e dissensi anche nel centrosinistra: in particolare, fra laici e cattolici e perfino all'interno delle loro rispettive file. Si può ben eccepire sullo show di Pannella, suo istrionismo e sull'"insopportabile esibizionismo", come lo ha definito il verde Gianni Mattioli, pur apprezzandone la "nobile e condivisibile" battaglia. Ma prima di esprimere un giudizio definitivo converrà ricordare che allo stesso personaggio, allo stesso metodo ed alla stessa tradizione, il nostro Paese deve storicamente alcune importanti conquiste sul piano dei diritti civili: dal divorzio all'aborto. La campagna di Pannella e d

ei Riformatori punta ora ad un referendum popolare per escludere le droghe leggere dal novero delle sostanze illegali. Già i termini letterali della questione sono di per sé significativi: non si tratta di "liberalizzare" hashish e marijuana, cioè di autorizzarne la vendita nelle tabaccherie o nei supermarket, bensì, più semplicemente di "legalizzare" il consumo, cioè di depenalizzare lo spinello ed interrompere così il collegamento con il mercato delle droghe pesanti. Basterà aggiungere che per questo "reato", la legge prevede l'arresto obbligatorio e fino a vent'anni di carcere. E' vero, non esistono in materia certezze assolute e anche i pareri degli esperti sono discordi. C'è chi respinge in radice la distinzione fra droghe leggere e droghe pesanti. C'è chi sostiene che questo può essere il primo anello di una catena attraverso cui si arriva fatalmente alla dipendenza. E c'è infine chi contesta il "cattivo messaggio" lanciato in particolare ai più giovani. Sono timori e rilievi certamente rispettabili

, comprensibili, giustificati. Da parte opposta, a favore della distinzione fra droghe leggere e droghe pesanti, molti affermano con altrettanta convinzione che hashish e marijuana non fanno male più dell'alcool del tabacco; non sono più tossici di una sigaretta o di un wisky; non provocano assuefazione e comunque in misura di gran lunga inferiore rispetto ad altri stupefacenti. Con un pacchetto di spinelli, insomma, non si muore. Con un'overdose di eroina, invece sì.E qui, al di là dell'iniziativa di Pannella, il discorso si allarga necessariamente alla lotta più generale contro la droga. Nell'alternativa tra una repressione impotente e una legalizzazione possibile, proprio per combattere il narcotraffico e la criminalità indotta, la cultura antiproibizionista propone una strategia propone una strategia di informazione, educazione e dissuasione che tende a scoraggiare l'uso di sostanze stupefacenti piuttosto che a vietarlo. Come per il fumo, l'alcool ed il "sesso libero", anche in questo caso lo strumento

delle campagne sociali, a sfondo medico o sanitario, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, può risultare molto più convincente ed efficace di tanti limiti e divieti. La stessa esperienza comune, di genitori, insegnanti ed educatori, avverte del resto che con i figli, gli studenti o gli allievi, spesso è la forza del dialogo a prevalere sull'attrazione più o meno fatale del "frutto proibito". Ispirata all'origine da posizioni di liberalismo, con in testa soggetti tutt'altro che trasgressivi come il premio Nobel Milton Friedman ed il settimanale inglese "The Economist"; sostenuta in Italia da uno schieramento politico -culturale d'orientamento laico e radicale che tende sempre di più a ampliarsi verso settori della sinistra e del mondo cattolico; riproposta già negli anni scorsi sulle pagine de "L'Espresso", la campagna antiproibizionista si fonda su un principio economico fondamentale: quello della droga è un mercato dell'offerta piuttosto che della domanda. Vale a dire un commercio clandestino alime

ntato e imposto dai produttori, dai trafficanti, dagli spacciatori, a danno e sulla pelle dei consumatori. Da qui l'altro assunto apparentemente paradossale degli antiproibizionisti, secondo cui "la droga non è vietata in quanto pericolosa, bensì pericolosa in quanto vietata". A supporto di questo orientamento c'è poi un'osservazione di pubblico dominio che appare particolarmente persuasiva. Il fenomeno della tossicodipendenza continua ad estendersi anche all'interno delle carceri, a conferma del suo fortissimo potere di corruzione e penetrazione. E allora: se un apparato statale, con tutto il suo spiegamento di polizia, non riesce ad impedire lo spaccio ed il consumo di droga neppure dietro le sbarre, dove i cittadini detenuti sono sotto controllo ventiquattrore su ventiquattro, come può riuscirci nelle strade, nelle piazze, nei parchi pubblici? Forse non è più conveniente investire le ingenti risorse finanziarie ed organizzative impiegate per la repressione nella propaganda sociale per l'informazione e la

dissuasione? Senza fanatismi da una parte ed isterismi dall'altra, a questo punto è opportuno valutare realisticamente tutti i pro e i contro, per affrontare magari un ripensamento generale nella lotta alla droga, un'invenzione di tendenza, un salto di cultura e di mentalità, secondo l'esperienza già in atto in altri Paesi. Alla pattuglia di Pannella, come ai tempi del divorzio e dell'aborto, si deve riconoscere il merito di aver sfidato un altro tabù,anzi un doppio tabù: sia a destra che a sinistra. Anche alla luce dei precedenti successi in materia di diritti civili, non conviene rinchiudersi nelle proprie convinzioni e certezze, respingendo pregiudizialmente la proposta di legalizzare le droghe leggere e rifiutando in partenza l'ipotesi antiproibizionista. Non sarebbe la prima volta nella storia nazionale che una battaglia di minoranza finisce per diventare nell'arco di qualche anno una vittoria della maggioranza e una conquista per tutti.

 
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