"TUTTO QUELLO CHE CI UNIVA"Un Amico Ricorda
Articolo di Marco Pannella
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"Quando ci conoscemmo e ci scontrammo eravamo quasi soli in ciascuno dei nostri campi di allora. Ci univa la consapevolezza del flagello, la determinazione di combatterlo, la pena e l'allarme per la cecità ed il cinismo della politica, il dar corpo - letteralmente - alle nostre convinzioni e speranze. Ci separavano cultura e funzioni che assolvevamo. Lui grande pastore e guida nel deserto verso la salvezza, nell'imperversare della bufera, con un carico di feriti, di ammaliati, di moribondi, un popolo disperato incalzato dal nemico, che ovunque si infiltrava e corrodeva anime e corpi, che veniva a lui ben più di quanto lui non lo chiamasse, dovendo sempre trasfondere e mostrare speranza, sicurezza, forza, convinzione, anche di fronte a eventi e situazioni che non potevano trovarlo preparato, terribilmente nuove com'erano. Io - come già per altri flagelli originati come tali dall'illusione autoritaria e proibizionista - teso con i miei compagni, nel e dal mio partito, a prevenire, con leggi, nuove e atrocement
e urgenti; a scarcerare quei malati o, molto spesso, semplicemente quegli innocenti, per renderli ai medici o alla libertà e - più ancora - per ingaggiare la lotta contro le ragioni stesse del crescere spaventosi della criminalità e del suo immenso potere nella insensata "guerra" che ne costituisce la forza e l'attuale, continua vittoria sulla legge e sull'umanità. Sin dall'inizio gli devo il suo "Marco" e il suo abbraccio forte, prima e dopo le tempeste dei nostri scontri, del non riuscire a convincere l'altro. Poi, più di dieci anni fa, il suo volere che andassi a San Patrignano, ad accogliermici, a rischiare così, puntando sulla libertà - sicuramente trepido tanto quanto ostentasse sicurezza - dai "suoi", dalla loro capacità di respingere il tarlo dei dubbi, forti del loro essere un tuttuno, uniti in una guerra spaventosa ed in una condizione di ritrovata e dura speranza. Iniziò poco dopo, penso, la ulteriore grande crescita, drammatica ed anche qualitativa, della sua impresa, di San Patrignano, sua per
sonale. La tragedia, il flagello non sapevano - loro, come noi, e il mondo "intellettuale", ma vigliacco - che la dimensione ideale di una cura, di una comunità terapeutica fosse quella di pochissime decine, o ancor mano, di "tossici". Le immense capacità anche imprenditoriali, d'animazione, di Vincenzo, consentivano di accogliere sempre più persone, via via fino a ben più di mille, e ciò malgrado la "fila" esterna aumentava sempre di più, l'assediava. L'organizzazione di questo "comune", oltre che comunità, il numero senza precedenti dei suoi membri, la loro fragilità e le loro debolezza, non poteva che riprodurre le dinamiche individuali e collettive, le cadute, gli errori, le colpe, i pericoli, i "delitti"anche, propri di una realtà sociale ed istituzionale di tali dimensioni. Ma intuivo, sapevo che SanPa aveva mutato direzione, la guida s'era fatta più umile e più forte, più "democratica" e tollerante. Intanto Vincenzo mi telefonava, mi lanciava messaggi, mi diceva di andare avanti, di non mollare su mo
lte delle nostre più difficili battaglie. Su quella dei diritti della difesa, della giustizia, tendendo a spostare forse troppo sui giudici le cause stesse di alcune tragedie, di minacce e pericoli. Ma ormai lo comprendevo. La compassione ci univa, da lui a me, da me a lui. Finalmente, quest'anno, la decisione convinta, felice, grave di ospitare a SanPa il Congresso del Coordinamento Radicale Antiproibizionista, con all'odg i nostri referendum antiproibizionisti, le nostre attività, l'organizzazione della lotta non solamente in Italia per denunciare le convenzioni internazionali fondamento dell'antiproibizionismo. Vincenzo non aveva affatto mutato le sue convinzioni su questo punto. Ma aveva deciso di porre l'accento su ciò che ci univa e voleva ci unisse sempre più: mai drogati in carcere, mai il braccio armato dello Stato contro di loro con la violenza, ma intolleranza e non solamente fra noi. In quel congresso, per tre giorni, ci parlammo ascoltando, scrutando i volti e l'attenzione dei "suoi" a volte lì
a centinaia, e di noi stessi. Chiedo a San Patrignano di associarmici. Le atrocità della guerra nella quale lo Stato e la politica hanno lasciato solo, così a lungo e per tanti versi, Muccioli e i "suoi" furono inevitabili. La "giustizia" può anche pronunciare verdetti di condanna. La storia, la verità, la coscienza possono solamente - a loro volta - dire a Vincenzo: grazie. E ora meriti serenità, amore, riposo.