Scalfaro da Napoli, ribatte alle accuse di Pannella
"MA LA VERITA' NON AGGREDISCE"
di Antonello Caporale
"Scal-fa-ro, Scal-fa-ro, ve-ri-tà, ve-ri-tà,". Al Maschio Angioino e agli scavi San Lorenzo e Santa Chiara, nel cuore antico di Napoli, di fianco e di fronte, da dietro e di sopra, onnipresenti, tenacissimi e ispirati gli urlatori pannelliani non gli hanno dato tregua. "Ci seguono come la nuvoletta di Fantozzi", ha sorriso e commentato l'ufficiale della sicurezza presidenziale. Una nuvoletta, appunto, che intristisce lo spirito ma non riesce più a trafiggere il cuore. La love story politica tra Pannella e Scalfaro si è chiusa da un pezzo, e ieri è finita sepolta sotto gli ori e le meraviglie di Napoli, lungo il tragitto del Decumano Maggiore, i vicoli e i miracoli della città di Antonio Bassolino. Gli urlatori hanno tentato l'assalto in extremis, davanti la chiesa di Gesù nuovo: "Presidente questa è censura. Così è morta la speranza. E' morta, è morta, capisce? Pre. si-den-te!" Il presidente ha voltato le spalle e non si è curato più, ha salutato il sindaco, la corte di burocrati, e ha lasciato a Marianna l'
onere di inseguire con sguardo insofferente i dieci pannelliani., dieci uomini sandwuiches, e l'ultimo cartello sfottò: "Protestiamo in buona salute, riferimento ben riuscito di Scalfaro di far politica senza digiuni.
Ma il Presidente quel che doveva a Pannella crede di averlo dato. Due sere fa l'ufficio stampa ha rintracciato il Tg1 e ha spiegato che due paroline Scalfaro avrebbe gradito dirle. Erano per Pannella, tutte per lui. Agrodolci. Richiamo fermo alla par condicio, un invito, anzi una "preghiera" affinché i direttori di giornali e tg dessero il dovuto conto all'iniziativa referendaria, ma anche una considerazione maligna: "Più volte ho rinnovato la richiesta di offrire pari accesso e l'ho fatto anche di fronte a chi o disprezza, o sorride o si fa gioco di questo tema o contesta il diritto dovere del capo dello Stato di fare questo richiamo..." Caro Pannella, adesso invochi la par condicio, ma quando i tuoi amici del Polo l'hanno combattuta, mi hanno sbeffeggiato, insultato, perché non hai sprecato una parola in mia difesa? Questo e basta. Ieri, infatti, Scalfaro non ha retto alla seconda ondata di invocazione pannelliana, ristabilire la "verità" delle cose, dare ai cittadini la possibilità di conoscere i diciotto
quesiti referendari, prima di giudicare, prima di dire sì o no: "La verità non la si impone - ha risposto il Presidente - la verità non aggredisce..."
Sotto l'accusa di una "censura di Stato", il rilievo, mosso dal lettino d'ospedale, di non aver garantito "il rispetto dei diritti fondamentali", Marco Pannella e Oscar Luigi Scalfaro hanno concluso la loro storia di alleati inossidabili. Notizia che non sorprende. Da tempo i segnali del continuo e progressivo deterioramento dei loro rapporti erano evidentissimi e inequivocabili. Gli alleati di oggi hanno sempre rimproverato a Marco il sostegno decisivo che offrì a Scalfaro, all'uomo del Colle", così lo chiamano, colui che ha guidato la campagna anti Berlusconi, arbitro "parziale" quando non registra diabolico di un disegno che mira a sconfiggere il Polo con le armi della prima Repubblica, con l'invocazione perpetua alla sovranità e alla potestà del Parlamento.
E' vero, fu proprio il leader radicale a cucire la candidatura di Oscar Luigi al Quirinale. Si trattava di un democristiano diverso, testimone solitario e cocciuto della Costituzione, difensore integerrimo delle prerogative del Parlamento. Scalfaro ce la fece, Pannella esultò. Poi è arrivato il 27 marzo, poi Berlusconi al governo, infine la crisi voluta da Bossi. Era dicembre. Da allora Pannella ha iniziato a coltivare dubbi. L'insofferenza sempre più marcata per le esternazioni presidenziali, il pentimento, infine l'accusa definitiva di aver tradito la Costituzione.