Temo che la confusione regni sovrana nella visione scandalistica e
alquanto controproducente che il tesoriere del Movimento ha della
cessione di quote di capitale dell'Eni da parte del governo.
Qui non si tratta ragionieristicamente parlando di dismissioni bensì
di trasferimento di quote a nuovi soci che, in un primo momento, il
governo si riserva di scegliere tra i possibili investitori. Non è
quindi possibile parlare di foglie di fico dal momento che qualsiasi
economista con un briciolo di corretezza intellettuale sa che
operazioni di tale portata vanno ricondotte a motivazioni connesse a
problemi economici. Benedetto Della Vedova a due giorni dal 503esimo
anniversario, scopre l'America.
Probabilmente il numero due di Torre Argentina, ha ragione nella sua
analisi politica prevedendo assegnazioni di comodo da parte dei
partiti (nelle attuali condizioni politiche) ma economicamente le
scelte che verranno fatte, nell'ottica, anche, di una espansione
dell'Eni stesso con l'apporto di capitale fresco da parte di nuovi
soci può rappresentare una scelta, a mio avviso più che opportuna per
l'economia del Paese. Del resto le casse dello Stato sono attualmente
alquanto fiacche e la riserva sugli investitori, con il golden share,
credo debba essere attribuita proprio alle previsioni che l'attuale
governo ha fatto per quanto riguarda i risultati economici futuri. In
altre parole questa riserva ha lo scopo evidente di stabilire se i
capitali apportati dai nuovi investitori nella misura del 10, 15
percento del capitale Eni ora, saranno in grado poi, con opportune
scelte di management, di rendere reali i redditi previsti da questo
tipo di operazione. Credo che il primo soggetto a rischiare in questo
tipo di cessione è lo Stato medesimo e ventilare soluzioni
neoliberiste troppo avanzate porterebbe sicuramente alla eliminazione
immediata di coloro che in futuro prevedono di acquisire delle quote,
magari non di maggioranza. Una sorta di gigantesco monopolio privato,
senza concorrenza, comunque in mano a quei pochi investitori o "soliti
amici", che oggi potrebbero investire in nome del liberismo sfrenato
(firmando anche quel referendum, facendo buon viso) e che poi, a conti
fatti, lascerebbero l'Italia al proprio destino.