Sulla prima pagina del "Il Sole" di venerdì campeggiava il titolo "La Golden Share debutta con l'ENI"; bene, purché questa sia l'occasione per discutere con rigore e spirito critico della formulazione italiana, decisamente anti-mercato, della golden share. Noi riformatori dei Club Pannella abbiamo da mesi cercato di porre la questione all'attenzione generale, inserendo la riserva di poteri allo Stato nelle aziende privatizzate nelle proposte di abrogazione per via referendaria per le quali in questi giorni si stanno raccogliendo le firme, ai tavoli e nelle segreterie comunali.
La nostra contrarietà all'istituto previsto dalla Legge 474 del 1994 dipende da due fattori: il tipo di poteri che "tenuto conto degli obiettivi nazionali di politica economica e industriale" si prevede di poter riservare allo Stato e l'estensione della norma a tutte le aziende pubbliche che operano nei servizi pubblici.
Il primo dei poteri "riservabili" è quello del "gradimento da rilasciarsi espressamente all'assunzione di partecipazioni rilevanti", cioè superiori al 5% e in alcuni casi anche meno. Per l'ENI è stato fissato un tetto massimo di partecipazione al capitale del 3% e si prevede che il "gradimento" venga espresso per partecipazioni dell'ordine dell'1 o massimo 2%.
In caso di mancato gradimento il malcapitato investitore dovrà dismettere le partecipazioni entro dodici mesi. Chi, se non coloro che hanno avuto preventive assicurazioni, investirà in azioni che rischiano di perdere valore da un giorno all'altro per decisione unilaterale del Tesoro?
Il potere di veto all'adozione di alcune delibere (scioglimento, fusione, trasferimento all'estero, modifica dell'oggetto sociale) sarebbe probabilmente stato tollerabile se ristretto nella tipologia e nel numero delle aziende, magari con una limitazione temporale, sul modello della Golden Share Inglese.
Dove si raggiunge l'aberrazione, però, è nella clausola che riserva allo Stato il potere di nomina di uno o più amministratori (fino ad un quarto dei membri) e di un sindaco: a che serve, se già esistono le norme di cui sopra e se l'istituzione delle Authority è preclusiva della privatizzazione stessa, continuare a nominare amministratori "pubblici", cioé partitici, cioé partitocratici, in aziende a capitale anche interamente privato?
Infine una riflessione sull'stensione della legge: i poteri speciali possono essere previsti in tutte le aziende operanti nei settori della difesa, delle TLC, dell'Energia e dei Servizi pubblici, anche di propietà di enti pubblici tarritoriali: perfino, quindi, per le aziende che raccolgono rifiuti nei comuni.
E' su queste basi che vogliamo riformare il sistema economico italiano, "misto", statalista ed interventista, e costruire una vera economia liberale e di mercato?, creare un mercato mobiliare meno inadeguato quantitativamente e qualitativamente, proprio a partire dalle privatizzazioni?
Su quest'ennesima dimostrazione che la terribile malattia endemica della società, della politica e dell'economia italiane sia il trasformismo consociativo, nemico del conflitto liberale e del mercato, quasi nessuno finora ha preso con noi una posizione chiara, di lotta per il cambiamento. C'è ancora qualche settimana, però, perchè a partire dalla discussione sulla Golden Share, sul monopolio dell'Enel, sul monopolio pubblico nella assicurazione sanitaria, sula Guardia di Finanza militarizzata, si apra nel paese un dibattito referendario, liberale e riformatore, in grado di togliere la politica dalla palude inconcludente in cui oggi si trova.
Abbiamo per tempo e ripetutamente sollecitato la classe imprenditoriale italiana a contribuire a questa iniziativa, con contributi finanziari ed altro: stiamo ancora aspettando fiduciosi.
Benedetto Della Vedova, Tesoriere dei Club Pannella Riformatori.