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Conferenza Movimento club Pannella
Palumbo Stefano - 9 novembre 1995
IL SECOLO D'ITALIA 8 NOVEMBRE 1995

SE FINI E PANNELLA VOGLIONO LA STESSA LEGGE ELETTORALE

Da Giovanni Negri, già segretario e parlamentare radicale, oggi opinionista, riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Caro direttore e allora che facciamo? Intendo dire che facciamo noi e voi, insieme, in questa inedita storiaccia che per la prima volta non ci vede accanto solo nel dare scandalo su un certo antifascismo di maniera, non ci vede solo militanti diversi nello stesso Polo, non ci vede solo accomunati dal rispetto reciproco di chi riconosce nel diverso da sé qualcuno che comunque crede e ama la politica e per amor di politica ha vissuto e pagato il suo prezzo. Ahinoi, questa volta la promiscuità è più imbarazzante, più compromettente, direi gravissima: in una parola esigente. Sembra quasi una condanna: questa volta Fini e Pannella han detto proprio la stessa cosa, hanno annusato lo stesso rischio, hanno indicato la stessa soluzione. Da ieri, per grazia di Pannella e volontà di Fini, mi par di capire che abbiamo in comune un referendum. Cioè un'analisi, e una terapia. E' vero: c'è chi manovra per liquidare il maggioritario, per manomettere le regole volute dagli italiani, per rimodellare la legge elettorale a suo

uso e consumo dopo aver già offeso - con il ribaltone - il principio più sacro di una democrazia maggioritaria, ovvero il rispetto della volontà degli elettori. E' vero: c'è chi rinvia alle calende greche la prova delle urne, chi lavora per ternare la palude e la stagnazione, chi si illude di ricostruire centri e centrini, grandi e piccole Dc, grazie alla sospensione della politica e della democrazia. E' vero: proprio come dice Fini, contro questi disegni c'è una bomba a orologeria democratica, c'è in campo un progetto che può imporre - ricorrendo agli elettori - un maggioritario vero, secco, bipartitico, quello che tanto dovrebbe piacere (e invece tanto dispiace) ai cantori di un'Italia "normale"; ed è anche questo progetto il solo a garantirci una prova d'appello popolare fra un anno, la primavera prossima, qualora nel frattempo le maggioranze di ribaltone realizzassero il sopruso di ritoccare la legge elettorale. Questo progetto, appunto, si chiama referendum: e ha bisogno di mani, di firme, di tavoli, di

denaro, di informazione, di politica, di assemblee, di comizi, insomma di tutte quelle cose che in pieno inverno sembrano impossibili e invece devono diventare possibili, se vogliamo che le (pochissime) 100.000 firme di oggi diventino almeno mezzo milione entro fine anno. Insomma: abbiamo questo problema in comune? Parliamone. Ma ne aggiungo anche un altro, forse perché è la prima e forse unica volta che scriverò sul "Secolo". A me pare che al di là del referendum questo Polo, anzi il centro di questo Polo, abbia un grande, grande, grande bisogno di politica, una grande necessità di uscire dalla palude e dall'immobilismo, una grande urgenza di recuperare le ragioni profonde della propria esistenza e della propria vittoria. Il dialogo fra le ali di destra e di sinistra di questo Polo, il dialogo fra chi diverso era e resterà, fra chi comunque sa quanto e quale sia il desiderio popolare di libertà e di vero cambiamento, è un bene prezioso da valorizzare, con tutta la moderazione e la prudenza delle quali siam

o capaci. Allora, spero, appuntamento ai tanti tavoli referendari per una vera democrazia maggioritaria. E, per quanto mi riguarda e a titolo personalissimo, arrivederci anche alla manifestazione del 2 dicembre: un appuntamento che avete avuto il coraggio e l'intelligenza di indire, e che pertanto so che non vorrete etichettare come momento aperto soltanto a chi è e si dice "di destra". Facciamo dei tavoli dei referendum e della piazza del 2 dicembre, i tavoli e la piazza delle libertà.

 
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