che compare su "L'opinione" di oggi.BENETTON HA RAGIONE.
BENETTON HA TORTO.
Nella sua intervista alla stampa di lunedì scorso,Luciano Benetton ha detto di avere una speranza: "che si parli sempre meno di politica, come accade, del resto, nei Paesi civili". Parole sacrosante, per un paese, l'Italia, in cui fiumi di inchiostro e di parole vengono sprecati per raccontare il nulla della politica, fatto di chiacchere sulle riforme, chiacchere sulla finanza pubblica, chiacchere sulle alleanze e sul "centro", chiacchere su chi entra e chi esce dal palcoscenico di una recita che resta, nonostante le innumerevoli repliche, penosa.
Benetton ha ragione, quindi, ma ha torto se ritiene che alle chiacchere debba seguire il silenzio. Non è di silenzio sulla politica che abbiamo bisogno, bensì di informazione e parole su una politica che sappia farsi raccontare e che sappia appassionare. Una politica incentrata e concentrata sulle questioni vicine alla società e all'economia, protesa alla ricerca e alla sperimentazione di soluzioni; una politica che ritorni a produrre scelte anzichè proporre rinvii e compromessi.
Da questo punto di vista il governo Dini è davvero il peggior esempio che si possa dare: navigare a vista, cercare di non scantentare nessuno e rinviare pericolosamente tutto ciò che è possibile rinviare. Se poi prenderanno corpo le ipotesi di questi giorni, avremo un governo del paese destinato a durare mesi e forse anni con un unico impegno, quello di "fare le regole". E l'economia, la disoccupazione, gli immigrati, le poste, le ferrovie, la droga? Aspetteranno! O, come oggi succede, faranno a meno della politica.
Nella medesima intervista, Benetton, ribadisce più volte che l'impegno cruciale del governo del paese debbano essre le privatizzazioni. D'accordo, ma quali privatizzazioni, con che priorità, con che metodi? Su questo la politica tace, sostanzialmente, e con lei tacciono Tv e giornali, se non per qualche mega-spot sulla parziale dismissione dell'Eni da parte del tesoro. In un "paese civile" questo sarebbe un tema di scontro durissimo, di differenziazione dei programmi e di richiesta di consenso agli elettori. Ad esempio, quanti sanno che cosa comporta la legge sulla "golden share" all'italiana, cioè sui poteri speciali che il tesoro si può riservare nelle aziende cedute ai privati? Possibile che nessuno, imprenditore assistito del sud o autosufficiente del nord-est, abbia avuto da ridire circa il fatto che il tesoro potrà esprimere il proprio gradimento su tutti coloro che acquisteranno più dell'1% delle azioni ENI? E che tale gradimento verrà espresso solo dopo che l'investitore avrà acquistato le azioni, co
stringendolo quindi, nel caso do diniego, a svenderle entro pochi mesi? E che il tesoro avrà sempre il diritto di veto su molte, troppe, delibere? Possibile che nessuno abbia protestato perchè nel Consiglio di Amministrazione dell'ENI, anche nel caso il colosso voluto da Mattei venisse ceduto al 100% ai privati, siederanno sempre e comunque un quarto di membri di nomina governativa e quindi partitica? Chi sa che proprio questa legge anti-mercato potrà essere sottoposta a referendum se verranno raccolte le firme necessarie nelle prossime quattro o cinque settimane?
La questione, quindi, non è quella della quantità di spazio dedicato dall'informazione alla politica, ma dei suoi contenuti. Lo scontro Clinton-Gingrich sul budget statunitense è uno scontro durissimo e politicissimo, ma è uno scontro coinvolgente, comprensibile, in grado di trasmettere ai cittadini la fiducia nel fatto che la politica e la democrazia siano strumenti efficaci per affrontare la crescita civile, sociale ed economica di un paese attraverso il confronto tra scelte alternative. Che rappresenta, invece, della democrazia e della politica italiana la melina nausenante sulla data delle elezioni?