CONTINUANO AD ESSERE I "PAZZI" ?Storia di uomini liberati che pensano di essere liberi
e di liberi mugnai che molti vorrebbero carcerare
(con l'aiuto di Tolstoj, Brodskij, Kant, Pascal, Havel,
Luttwak ecc. ecc. e anche di Giorgio Francia.)
A PROPOSITO DI RADICALI e di RIFORMATORI
Relazione di Giorgio Inzani all'assemblea annuale dell'Associazione per
l'Iniziativa Radicale e Democratica "Enzo Tortora" - Mi 19.11.95
A) PREMESSA -Lettera aperta di Giorgio Francia
Monza 8 Nov 95
Lettera Aperta al Presidente e Tesoriere dell'Associazione
Caro Giorgio, cara Rosmunda,
Ho letto ieri per caso alla tenda la lettera di convocazione
dell'Assemblea Annuale, che io non ho ancora ricevuto a tutt'oggi.
Per chiarezza intellettuale, ma soprattutto per la speranza che
desistiate da un atteggiamento che ha portato l'Associazione alla
dissoluzione, devo chiarire alcuni punti: Lucio Berte' comprendera',
io credo, il significato del termine "inzaniano" usato da Marco
Pannella nell'ultima segreteria allargata. Tale termine designa
una qual certa incapacita' di "grasp the reality", afferrare la
realtß delle cose: io non dubito, Giorgio, della tua onestß
intellettuale, semplicemente tu hai una visione irreale della
realtß, vuoi che la realtß sia quella che tu immagini o speri che
sia. Per essere modestamente concreti: non vero che la recente
campagna elettorale, con un consistente gruppo di compagni che
apertamente appoggiava un candidato diverso da quello prescelto da
te e da Pannella, habbia portato alla disgregazione
dell'Associazione. Cerca di ricordare che tu sei convinto che
qualunque campagna elettorale disgregante, te lo ho sentito dire
parecchie volte negli ultimi tre anni, una cosa di cui sei
pregiudizialmente convinto.
La realtß invece che la disgregazione dell'associazione si
verificata nell'assemblea dello scorso anno, e che quanto
verificatosi in campagna elettorale ne solo una diretta
conseguenza. E' responsabilitß vostra l'avere accettato allora una
soluzione che non aveva nulla di politico, era chiaramente presa,
come i fatti hanno dimostrato, non con il cervello ma con altra
parte anatomica (penso alla parte sotto la vita, sopra le cosce e
dalla stessa parte della nuca). In conseguenza di tale assemblea,
e nei sei mesi successivi, e senza che noi facessimo nulla, vi
siete sbranati tra di voi. Ciononostante sei mesi fa habbiamo
fatto un atto di buona volontß, nell'accettare il dimissionamento
di Bruschi e l'affido dell'associazione nelle vostre mani vi
stata data un'altra occasione. Non avete saputo approfittarne, e
l'associazione ora in uno stato di degrado fisico e di
inconsistenza politica che dovete imputare solo a voi stessi.
Ci chiarito, credo che il problema sia stato ben delineato nella
assemblea di due anni fa: l'associazione deve giustificare la sua
esistenza politica, e il suo costo (tra i venti e i trenta milioni
annui) indipendentemente dal Partito Radicale e dal Movimento dei
Club Pannella. Indipendentemente non vuol dire che debba essere
solo altro, ma al contrario che debba essere anche altro.
Statutariamente, legalmente, non abbiamo n possiamo avere alcun
rapporto con il Partito Radicale e col Movimento dei Club che non
sia di natura squisitamente politica, cio di volontario supporto
e adesione alle iniziative di questi due organismi e alle
associazioni collaterali del Partito (Nessuno Tocchi Caino,
C.O.R.A., etc..). Marco Teardo supporta l'idea che l'associazione
habbia una mera funzione organizzativa, quando tale funzione sia
richiesta dagli organi centrali dei partiti e movimenti su
elencati. Ridurre l'associazione solo a questo (e in questo
momento ridotta solo a questo) significa, come tu ben sai
Giorgio, buttare a mare una tradizione di presenza politica che
credo non sia esagerato dire storicamente significativa. Se
questa comunque la soluzione, auguri e buona fortuna, come ho
ripetutamente detto possiedo una radio e ascolto Radio Radicale e
non ho bisogno di voi per farlo, ora ho acquistato un computer e
sono in contatto in Agorß colle discussioni intellettuali che si
svolgono nella nostra area politica, e mi vedo spesso con i
compagni di Monza, mi coordino con taluni compagni di Sesto,
Vimercate, Lecco, Como, Lodi, Varese, e verr occasionalmente a
Milano a ritirare manifesti e volantini (pagher , pagher , non vi
preoccupate).
Se invece persiste la volontß di cercare di continuare per la
strada iniziata due anni fa, quella cio di creare un circolo
apartitico di dibattito politico, di dar vita a un gruppo di
pressione per la politica milanese e lombarda, di non disperdere
la presenza politica dell'associazione nel campo dell'assistenza
ai tossicodipendenti, e nel campo delle battaglie che tu Giorgio
hai portato avanti per l'umanizzazione della condizione
carceraria, di continuare nella nostra lotta ideale ma anche
concreta in favore dei diversi, della condizione dei transessuali,
della prostituzione, in generale della condizione sessuale nella
nostra cultura, per una etica laica, e quant'altro habbiamo spesso
discusso, strada che ha reso interessante per filosofi come
Giorello il venirci a trovare, che ha portato due di noi nella
segreteria nazionale del Movimento dei Club (e altri due al gruppo
a Bruxelles), ben altri devono essere i toni, ben altro l'impegno,
ben pi· sincera e dura l'autoanalisi su ci che stato fatto, su
ci che si poteva e doveva fare, eccetera. Senza astio, e cercando
di usare il cervello.
Giorgio Francia
B)INTRODUZIONE
Non posso che iniziare questa relazione esprimendo, a nome di
tutta la Associazione, la profonda gratitudine a L. Strik Lievers
e L. Bert che sono ormai giunti a loro 35 giorno di digiuno e di
dialogo oltre che a Lidia Baiocchi e A. Litta-Modignani che hanno
continuato fino al 30 giorno. N posso dimenticare di ringraziare
le decine e decine di militanti milanesi che dal mese di settembre
hanno aderito, di volta in volta, col loro digiuno a termine, a
sostegno di queste lotte per il ripristino dei diritti
costituzionali dei cittadini conculcati quotidianamente da un
regime partitocratico sordo e cieco, che consolida ogni giorno di
pi· il suo cupo potere oligarchico rendendo i cittadini sempre pi·
simili a s , ovvero ciechi e sordi alla ragione, al dialogo, alle
radici stesse della nonviolenza che tanto pi· necessaria quanto
pi· n vengono negate le sue rivoluzionarie potenzialitß. N posso
esimermi dall'esprimere gratitudine a Rita Bernardini, Paolo
Vigevano e Sergio Stanzani, e agli altri cinque che non conosco, e
infine agli oltre 60 parlamentari che - pur cancellati da tutti i
deformatori di professione (i cosiddetti giornalisti)- ridanno,
con il loro digiuno, dignitß alle istituzioni referendarie. Ci
sono momenti... ci sono momenti cosø impenetrabili e bui, durante
i quali continuare a tenere acceso il salveminiano e l'ernesto-
rossiano (e, perch no, in questo solco: il pannelliano)
fiammifero della ragione sempre pi· difficile, difficile ma
necessario. Se 30 anni fa Pannella scriveva "Siamo diventati
radicali perch ritenevamo di avere delle insuperabili solitudini
e diversitß rispetto alla gente, e quindi una sete di alternativa
profonda, pi· dura, pi· "radicale" di altri...", questa amara
considerazione coronava un ventennio di oscurantismo clericale ma,
nello stesso tempo, conteneva i germi di una grande battaglia
(quella del divorzio) che quel regime avrebbe scardinato, oggi,
dopo un trentennio partitocratico...
1.NIENTE JUNG ?
In questa mia relazione vi prometto di parlare di Jung, se non per
interposta persona; ma non perch ritenga esaurita la ricchezza e
la pertinenza del suo pensiero in ambito politico, (al contrario:
infatti le premesse implicite del ragionamento che cercher di
svolgere sono tutte contenute nell'opuscoletto DANNATI DI TUTTO IL
MONDO e nelle quattro introduzioni degli opuscoli della serie
DALLE PATRIE GALERE), ma soprattutto perch ho la sensazione di
parlare al vento, oppure, ed il caso di Giorgio Francia, perch
con una banalizzazione liquidatoria (Jung "filonazista") egli
opera una rimozione che non giova davvero a nessuno. La persona
interposta alla quale accennavo all'inizio Federico Fellini (lo
trovate in JUNG E LA CULTURA DEL XX SECOLO di A. Carotenuto, pag.
120) che dice:
"La lettura di qualche libro di Jung, la scoperta della sua
visione della vita, ha avuto per me il carattere di una gioiosa
rivelazione, una entusiasmante, inattesa, straordinaria conferma
di qualcosa che Mi sembrava di avere in piccola parte immaginato.
(..) Jung un compagno di viaggio, un fratello pi· grande, un
saggio, uno scienziato veggente (..). L'umiltß scientifica di Jung
(rispetto a Freud) di fronte al mistero della vita Mi sembra pi·
simpatica. I suoi pensieri, le sue idee non pretendono di
diventare dottrina, ma solo di suggerire un nuovo punto di vista,
un diverso atteggiamento che potrß arricchire ed evolvere la
personalitß, guidandoti verso un atteggiamento pi· consapevole,
pi· aperto, e riconciliandoti con le parti rimosse, frustrate,
mortificate, malate di te stesso. Indubbiamente Jung pi·
congeniale, pi· amico, pi· nutriente per chi crede di dover
realizzarsi nella dimensione di una fantasia creativa. Freud, con
le sue teorie, ci obbliga a pensare; Jung invece ci permette di
immaginare, di sognare, e ti sembra, addentrandoti nell'oscuro
labirinto del tuo essere, di avvertire la sua presenza vigile e
protettrice".
2. LE TRE CARTE
Ho pensato ripetutamente di mantenere questo schema di relazione:
la metafora di Tolstoj sul mugnaio seguita da un breve
commentario. Punto e basta. Ma gli avvenimenti degli ultimi tempi
hanno fatto piazza pulita di questo schema e Mi hanno imposto un
capovolgimento profondo. Non vorrei che qualcuno l'interpretasse -
questo rimescolamento- come un gioco delle tre carte. Nulla di
tutto ci , ma se ti rendi conto che la realtß attorno a te sta
vistosamente franando, hai il dovere di modificare non solo lo
schema di una relazione, ma anche lo schema mentale che sta sotto
quella relazione, per cercare, almeno, di anticipare di un secondo
gli avvenimenti, pena rimanere travolti da quella frana.
3. IL TERZO DOPOGUERRA
C' un giornalista -Furio Colombo- che se ha la fortuna di essere
testimone di eventi importanti, regolarmente non riesce a capirli
o a intepretarli. Un es. per tutti: lui stato l'ultimo uomo ad
intervistare P.P.Pasolini (letteralmente poche ore prima del suo
assassinio) e in quest'intervista (la trovate a pag.407 e segg. di
PASOLINI, UNA VITA di Nico Naldini -Einaudi) Pasolini esprime
tutta la sua agghiacciata disperazione di uomo che percepiva con
luciditß non solo la sua imminente soppressione, ma, pi· in
generale, la scomparsa di una civiltß conseguente al genocidio
culturale; ebbene, Colombo si dß un gran daffare per girarci
attorno facendo spallucce e smussando gli angoli. Per cui, quando
Pasolini dice "so che battendo sempre sullo stesso chiodo pu
persino crollare una casa. In piccolo un buon es. ce lo danno i
radicali, quattro gatti che arrivano a smuovere la coscienza di un
Paese (e tu sai che non sono sempre d'accordo con loro, ma proprio
adesso sto per partire, per andare al loro congresso)." Questo
riferimento, che l'unico squarcio di sereno in un cielo plumbeo
e mortale, qualsiasi giornalista avrebbe cercato di approfondirlo
nei contenuti, ma Colombo tira avanti diritto senza manco
accorgersene.
Questo esempio puntiforme pu essere moltiplicato per sedici volte
(tanti sono gli intervistati) nel suo libro IL TERZO DOPOGUERRA
(Rizzoli o Euroclub 1990). Quello che salta subito all'occhio
l'assenza nostra, di noi radicali, (per esempio chiedere a
Pannella o a Stanzani le cose che lui chiede a Trentin o Asor
Rosa; oppure chiedere a Sharansky le cose che chiede a Wiesel) e
ci comporta uno squilibrio notevole delle potenzialitß del libro.
Gli spunti importanti per ci sono, Mi limiter ad elencarne
alcuni:
a) illuminante l'osservazione di David D. Hale "Nelle
biblioteche del mondo occidentale, oggi ci sono centinaia di
volumi che studiano il passaggio delle economie dal capitalismo al
comunismo. Ma non ce ne uno solo che abbia cercato di raccontare
il percorso inverso".
b) estremamente stimolante -da un punto di vista teorico-
l'approccio dell'economista liberista Amartya Sen (che introduce
la distinzione fra libertß positiva e negativa) quando afferma
"Dire che il mercato risponde alle leggi naturali non solo
fuorviante ma alquanto irrispettoso nei confronti del mercato
stesso in quanto il mercato una delle grandi creazioni della
mente umana, delle istituzioni umane e delle interazioni sociali",
ma subito dopo ne affronta i limiti e le effettive possibilitß di
superarli.
c) intrigante l'incontro-scontro con Josif Brodskij ( il poeta,
esule russo, premio Nobel che dice:"una persona ha alcune opzioni,
non tante, una certa forza, non una forza infinita, uno spazio
segnato da limiti, non tutto lo spazio, un volume di voce, che non
grandissimo. E' lø il suo percorso, in mezzo a quei limiti."),
di questo scontro voglio solo riportare una domanda e una risposta
che dimostrano l'inconsistenza di Colombo e la dolente icasticitß
di Brodskij:
D. Ma cosa direbbe a quanti hanno una onesta passione, una vera
speranza? A quanti ritengono che essere marxista, essere
comunista, il modo giusto per avere un mondo migliore?
R. Beh, lungo quella strada hanno molte probabilitß di andare
rapidamente in un mondo migliore.
d) lo stesso tema trattato da Vaclav Havel quando dice: "Mi
piacerebbe rassicurare tutti, dire che il peggio passato, ma non
cosø. Mi piacerebbe dirvi che il peggio pu ritornare solo con
un malevolo volto politico. (Magari fosse cosø semplice, ma in
realtß) l'occasione di mettere sotto qualcuno, di tormentarlo in
nome di certe regole e principi sempre vivo, non ha bisogno del
comunismo per esistere (pensiamo alle burocrazie senza faccia,
ecc.)." Quando Colombo gli chiede che cosa stato il comunismo,
Havel risponde:"Oltre al regime oppressivo, all'interpretazione
ortodossa del marxismo, c' inoltre un altro significato, le
parole come riferimento a una speranza. Credo che non si debba
abbandonare la speranza, credo che sia necessario esprimerla con
una nuova parola. E' una grande immaginazione."
e) l'ultimo spunto che voglio riversarvi lo ritengo fondamentale
ed di Edward Luttwak perch delinea i pilastri di una politica
transnazionale affermando: "la strategia pi· forte della
politica e la politica pi· forte dell'economia... Ma sopra il
livello politico e sopra quello strategico compare, in alcune
congiunture della storia, una forza ancor pi· grande, quella di
alcune idee che hanno una presa e una motivazione collettiva..."
Ho tentato di riassumere, in poco spazio, i contributi teorico-
pratici che possono esserci utili per la prospettiva
transnazionale, Mi auguro di non aver creato ulteriore confusione.
4. PARTIBUROCRAZIA
Questo paragrafo quello che Mi ha creato il maggior numero di
difficoltß. Ma non perch come dice Giorgio Francia, ho una
visione della realtß irreale, e voglio che la realtß sia quella
che immagino o spero che sia" (una breve postilla per Giorgio
Francia e le sue apodittiche veritß: non saranno magari state le
nostre visioni irrealistiche - a fronte dell'iper-realismo di
tutti gli altri - a permettere a noi radicali di durare nel tempo
e di azzeccarci spesso?) ma perch trovare spiragli di speranza in
questo vicolo della desolazione della politica italiana
veramente arduo. Io tento di farlo aiutandomi con due intuizioni
di Brodskij. La prima, che pu apparire lapalissiana, ma che non
lo per niente, quella per cui: "un uomo liberato non un uomo
libero e la liberazione soltanto un mezzo per arrivare alla
libertß e non ne il sinonimo", intuizione seguita poco dopo da
una specificazione "se vogliamo una parte pi· importante, la parte
dell'uomo libero, allora dobbiamo essere capaci di accettare - o
almeno di imitare - il modo in cui un uomo libero sconfitto. Un
uomo libero, quando sconfitto, non dß la colpa a nessuno."
(Dall'esilio - Adelphi ed.). La seconda, che lui usava per
spiegare il regime sovietico, pu benissimo attagliarsi
all'immutabilitß della nostra situazione politica ( quello che
noi chiamiamo il terzo tempo della prima repubblica, poich non ci
lasciamo distrarre dall'apparente, ma superficiale mutevolezza);
Brodskij scrive: "Nel momento in cui la rivoluzione si realizza,
la vita si ferma, il Paese diventa un museo di se stesso, smette
di evolversi perfino il gusto, la moda, il colore delle case, il
taglio dei vestiti, dei capelli. Da quel momento tutto
ripetizione, o imitazione o infinita rimessa in scena di qualcosa
che giß successo". (il 3 dopog. cit). Ma cos' questa
partiburocrazia che gli "uomini liberati", ma non liberi, si
illudevano fosse morta nel '94 e che recita invece la sua apoteosi
nel governo Dini & C? Tra il 1985-86 a 12.000 giornalisti,
guidici, docenti, storici, politologi, ecc. venne somministrato un
questionario di 96 domande (elaborate da L.Strik-Lievers,
M.Teodori, M.Taradash). Risposero 1300 persone (un campione
significativo) ed emerse una radiografia estremamente
significativa di quello che noi radicali, e in modo appropriato,
definivamo regime partitocratico (L.S.Lievers dovrebbe promuovere
un seminario su questo). Mi limito ad isolare tre domande dal
contesto:
1) Lei ritiene che i partiti politici abbiano dilatato in modo
abnorme i loro poteri?
Il 91% delle risposte stata positiva
2) Lei ritiene che i partiti politici abbiano svuotato le
istituzioni repubblicane del loro ruolo e della loro funzione?
69% di risposte positive.
3) Lei ritiene che ogni obbligo riguardante il comune cittadino
sia perentorio e inderogabile mentre per i pubblici poteri sia
ordinatorio e derogabile?
80% di risposte positive.
Questa era, dunque, la partitocrazia - dieci anni fa - per quegli
esperti che interpellammo, queste sono le stimmate dell'odierna
partiburocrazia e della sua voglia - come diceva Havel - "di
mettere sotto qualcuno, di tormentarlo e svillaneggiarlo
sventolando regole e principi" e la riemersione dei suoi connotati
oggi si realizza in un Paese di uomini liberati che s'illudono di
essere liberi e che sono - letteralmente travolti dalla follia di
questa illusione mortale (per la democrazia). (Una breve
specificazione: pazzo colui che si abbandona all'inconscio;
nevrotico colui che genera un sistema di relazioni sociali
perturbate perch convinto dell'inesistenza dell'inconscio;
normale colui che cerca di incanalare la tremenda energia
creatrice e distruttrice dell'inconscio). Allora, se io formulo
l'ipotesi per cui noi radicali-riformatori (anche grazie al nostro
passato di "folli") siamo i "normali" in un Paese di "pazzi",
governato da una classe dirigente politica gravemente nevrotica e
che proprio per questo continuiamo ad essere emarginati come se i
pazzi fossimo sempre noi, (in attesa di un Erasmus che scriva
"L'elogio della normalitß) significa che dovremmo essere capaci di
riattrezzarci e riorientare il nostro vissuto in maniera
completamente diversa da quella del passato - per quanto glorioso
esso sia -. Perch se vero - come ci ricorda Pannella - che il
sistema partitocratico " unitß delle fazioni, stato delle etnie,
cementato dal quotidiano attentato ai diritti civili e
costituzionali dei cittadini", significa non soltanto che dobbiamo
fare l'impossibile per concludere positivamente l'attuale campagna
referendaria, ma anche sapersi organizzare per rendere possibile
una campagna referendaria ogni anno per i prossimi anni.
C' stato un precedente storico che angusti il Partito d'Azione e
che fu analizzato in modo appropriato dallo storico Federico
Chabod: fu "l'andata a casa" degli antifascisti (quelli che per
davvero fecero la Resistenza) nel secondo dopoguerra: la
conseguenza a medio termine fu che i gangli dello Stato
ritornarono nelle mani della burocrazia fascista; questo fatto,
oltre alla persistenza delle leggi fasciste, caratterizz quello
che noi definimmo "il postfascismo" cresciuto e alimentato dal
simulacro di una repubblica formalmente democratica e
costituzionale. Le reiterate campagne referendarie potrebbero
davvero rappresentare un antidoto alla odierna restaurazione
buropartitocratica.
5) ASSOCIAZIONE DI CHE?
Quando Olivier ha saputo che si trattava di un'assemblea
all'interno della quale si discuteva dei due versanti dell'azione
politica (quello radicale e quello riformatore) ha avanzato forti
perplessitß dicendo che lui cerca disperatamente di non confondere
i due ambiti di azione. Capisco le sue ragioni ma devo poi
aggiungere che per noi non possibile fare altrimenti, con gravi
e insanabili contraddizioni che ci portiamo appresso e cercando di
non rimanerne travolti. E' possibile riuscirci? E' sicuramente uno
dei motivi e una delle ragioni della nostra esistenza. Mi rendo
conto, per , che se sul versante dell'impegno riformatore una
certa continuitß possibile individuarla, su quello radicale -
soprattutto dopo la chiusura del distaccamento istituzionale
regionale - si vanno accumulando rinvii e buchi nell'acqua sempre
pi· vistosi. L'impegno di Lucio Bert , per quanto prezioso, non
riesce a superare i limiti che sono soprattutto di tipo
organizzativo. L'unica proposta decente che Mi sento di avanzare
quella di cercare di riaggregare il pulviscolo di associazioni
radicali rimasto vivo - ma per lo pi· inattivo - nella nostra
regione.
6) IL MUGNAIO
Ci sono molti buoni motivi per essere grati a Tolstoi: in primo
luogo stato uno dei precursori della nonviolenza ( fondamentale
il carteggio con Gandhi), poi tra le tante e importanti opere
letterarie c' quel RESURREZIONE che pu essere considerato il
primo testo sull'abolizione delle carceri. Io oggi gli rendo onore
prendendo paro paro la parte prima dell'introduzione con le
citazioni prefattive di Pascal e Kant al saggio DELLA VITA. Sono
citazioni che tutti noi conosciamo (rispettivamente "L'uomo non
che una canna" e "il cielo stellato sopra di noi") ma che qualche
volta utile rivedere nella loro interezza.
Dice infatti Pascal "L'uomo non che una canna, la pi· fragile
della natura, ma una canna pensante. Un vapore, una goccia
d'acqua sono sufficienti per ucciderla. Ma quando l'universo lo
distruggerß, l'uomo sarß ancora pi· nobile di ci che l'uccide,
perch egli sa di morire: ma dal vantaggio che l'universo ha su
di lui, l'universo non ha nessuna consapevolezza. Quindi, tutta
la nostra dignitß consiste nel pensiero. E' di ci che bisogna
occuparsi, non dello spazio e del tempo. Lavoriamo dunque a ben
pensare: ecco il principio della morale."
Arriva d'appresso Kant "Due cose Mi colmano l'anima d'una
ammirazione, d'una reverenza che sempre piu' nuove e piu' grandi
divengono, quanto piu' frequentemente e assiduamente vi si dedica
la riflessione: il cielo stellato sopra di me... Il primo
incomincia dal posto che io occupo nel mondo materiale ed
esteriore, ed amplia, in una grandezza che lo sguardo non puo'
abbracciare, quella connessione entro la quale io mi trovo con
mondi su mondi e sistemi di sistemi, ed altresi' in tempi
sconfinati, con il loro periodico moto, e il loro inizio e la
durata loro. La seconda, incomincia dal mio invisibile me stesso,
dalla mia individualitß, e Mi raffigura in un mondo che ha la
vera infinitß, ma che all'intelletto soltanto percepibile, e
con il quale io riconosco me stesso in una connessione non giß
puramente casuale, bensø universale e necessaria."
La metafora di Tolstoi che segue le due citazioni quanto di pi·
pertinente si possa trovare per descrivere sinteticamente e
analiticamente cosa significhi voler essere radicali e riformatori
oggi, alle soglie di un millennio che nasce sotto il segno della
tragedia.
"Immaginiamoci un uomo il cui unico mezzo di sussistenza sia un
mulino. Quest'uomo figlio di un mugnaio, e per tradizione di
famiglia sa perfettamente cosa si debba fare con ogni singola parte
del mulino perch il mulino macini bene. Quest'uomo non sa nulla di
meccanica; eppure ha sempre saputo coordinar tra loro tutte le
singole parti del mulino, cosø appunto come gli avevano insegnato a
fare, in modo che il macinato venisse gi· lesto, e fosse farina
buona: e quest'uomo ha potuto vivere, e guadagnarsi il pane.
Ma poi avvenuto che quest'uomo cominciasse a pensare al meccanismo
del mulino; e qualcuno gli disse qualcosa di poco chiaro a proposito
della meccanica e lui volle vedere che cosa precisamente si muovesse
lø dentro, nel suo mulino, e che cosa lo facesse muovere.
E risalendo cosø dalla tramoggia alla macina, dalla macina
all'albero, dall'albero alla ruota, dalla ruota alle pale, alla diga
e all'acqua, giunse alla conclusione che tutto quanto dovesse
dipendere dalla diga e dall'acqua. E l'uomo si rallegr talmente di
questa sua scoperta, che invece di controllare la qualitß della
farina che usciva, e di abbassare e alzare le macine, e di ferrarle,
e di tendere e allentare la cinghia, invece di continuare a far tutte
queste cose cosø come appunto aveva sempre fatto, si mise a studiare
il fiume. E il suo mulino cominci ad andare in malora. Gli dissero
che sbagliava a far cosø. Ma lui rispondeva che no, non sbagliava,
e continu a far ragionamenti riguardo al fiume. E tanti e tali
furono quei suoi ragionamenti, e tanti e tali le sue discussioni con
coloro che volevano dimostrargli quanto fosse sbagliata quella sua
maniera di pensare, che finø per convincersi che il fiume e il suo
mulino fossero, in realtß, tutt'uno.
Ad ogni tentativo di dimostrargli l'infondatezza dei suoi
ragionamenti, questo mugnaio risponderß che nessun mulino macina
senz'acqua; e che di conseguenza, per poter dire di conoscere i
mulini bisogna prima sapere com' che ci arriva l'acqua, e bisogna
conoscere la forza del movimento dell'acqua, e sapere da dove viene:
e che di conseguenza, per poter dire di conoscere i mulini bisogna
prima sapere cos' un fiume.
Dal punto di vista della logica, i ragionamenti del mugnaio sono
incontrovertibili. Non c' che un modo per trarlo fuori dal suo
errore: dimostrargli che in qualche ragionamento, ci che conta non
tanto il ragionamento stesso, bensø il posto che il ragionamento
occupa: ovverosia che per poter pensare in modo fruttuoso
indispensabile sapere a cosa occorra pensare prima e a che cosa
bisogna invece pensare poi; dimostrargli che l'agire secondo ragione
si differenzia dall'agire insensato unicamente per il fatto che chi
agisce secondo ragione ripartisce i propri ragionamenti in ordine
alla loro importanza: e decide quale ragionamento debba venir per
primo, e quale per secondo, e quale per terzo, e quale per decimo
ecc. Invece l'agire insensato consiste di ragionamenti che sono privi
di quest'ordine di successione. Bisognerß anche dimostrargli che
quest'ordine di successione non casuale, ma dipende dallo scopo per
il quale si fanno i ragionamenti medesimi.
Lo scopo di tutti i ragionamenti appunto ci che deve determinare
l'ordine di successione nel quale si disporranno i singoli
ragionamenti, se si vuole che essi siano ragionevoli.
E un ragionamento che non si connetta con lo scopo generale di tutti
i rimanenti ragionamenti, comunque insensato, per quanto logico
esso possa essere di per s .
Lo scopo del mugnaio di ottenere un buon macinato, e sarß appunto
questo scopo, se egli non lo perderß di vista, a determinare il
giusto ordine di successione di tutti i suoi ragionamenti riguardo
alle macine, alla ruota, alla diga e al fiume.
Se invece manca questo rapporto con lo scopo generale del suo
ragionare, i ragionamenti del mugnaio, per quanto belli e logici,
saranno di per s sbagliati e, quel che pi· conta, oziosi; saranno
simili ai ragionamenti di quel Kifß Mok evic (questo nome russo
corrisponde a Pinco Pallino e io vorrei estendere le sue proprietß
a Giorgio Francia e ai suoi ragionamenti pre-congressuali) che voleva
calcolare quale avrebbe dovuto essere lo spessore del guscio di un
uovo di elefante, se gli elefanti avessero fatto le uova come gli
uccelli.