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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Rinascimento - 5 gennaio 1996
Intervento di PIERO OSTELLINO (5-1-96)

II Congresso del Movimento dei Club Pannella-Riformatori.

Caro Marco, nell'impossibilità di essere presente di persona, ti faccio avere queste mie riflessioni, accogliendo il tuo invito a tenere una relazione al vostro congresso.

L'impegno che i riformatori-radicali stanno profondendo nelle loro iniziative referendarie mi pare risponda a due grandi esigenze. La prima, di carattere culturale e universale, riguarda il problema della democrazia negli anni a venire. La seconda, di carattere politico e nazionale, riguarda il grado di legittimità della nostra classe politica.

E' un fatto che il problema della democrazia sarà il tema centrale di questa fine-secolo e degli inizi del prossimo.

Da come sarà risolto dipenderà la vita stessa di milioni di uomini. E' anche un fatto che dal grado di legittimità della nostra classe dirigente dipenderà il futuro della democrazia nel nostro Paese.

Nella notte fra il 9 e il 10 novembre 1989, il Muro di Berlino non è crollato solo verso Oriente, seppellendo sotto le sue macerie il comunismo. E' crollato anche verso Occidente, incrinando altresì l'edificio della democrazia liberale. Scomparso il "nemico", ci guardiamo intorno e scopriamo che, sempre più spesso, il nemico siamo noi. Ora, un fantasma si aggira per l'Europa; è il fantasma dell'autoritarismo.

Sono venuti meno i tre fattori intorno ai quali aveva ruotato la politica negli ultimi duecento anni: lo Stato nazionale, la contrapposizione di classe, i grandi sistemi ideologici "chiusi" dell'Ottocento.

La globalizzazione e l'internazionalizzazione dell'economia, il "villaggio globale" della comunicazione, un tasso di mobilità personale mai conosciuto finora hanno prodotto forme di solidarietà transnazionali che non coincidono più con il concetto di cittadinanza. Ma con la crisi del concetto di cittadinanza è entrato in crisi anche il concetto di politica, almeno come la si era conosciuta dalla Rivoluzione francese ad oggi.

La rivoluzione tecnologica, modificando profondamente i modi di produzione, e lo Stato sociale, diffondendo un certo benessere di massa, hanno attenuato fino a ridurle quasi del tutto le differenze di classe. Ma con la fine della lotta di classe è finito anche il modo di fare politica, così come lo si era conosciuto da metà dell'Ottocento a oggi.

La sconfitta del comunismo in Europa, la sua trasformazione in Asia, dove esso è politicamente al servizio di uno sviluppo capitalistico "selvaggio", l'omologazione politico-culturale che ne è seguita, dovuta all'accettazione pressoché universale del mercato e del capitalismo , hanno conferito alla politico un carattere fortemente conservatore, spogliandola di ogni motivazione ideale. Con la crisi delle grandi ideologie Ottocentesche, ciò che conta, oggi, è la conquista del potere, non ciò che si intende fare dopo averlo conquistato.

Negli ultimi duecento anni la politica si è fondata inoltre su tre postulati di natura razionalistica ed elitaria. Primo: che spettasse all'Uomo mettersi al servizio della politica e non alla politica essere al servizio degli uomini in carne ed ossa. Secondo: che questi ultimi non sapessero neppure quali erano i loro interessi "reali". Terzo: che fosse compito della "nuova aristocrazia del sapere", che era succeduta all'"aristocrazia del sangue", individuare, rappresentare e perseguire tali interessi grazie alla delega che i cittadini le avrebbero conferito attraverso libere elezioni.

L'avvento della democrazia di massa, i grandi mezzi di comunicazione, una più diffusa e migliore conoscenza della fenomenologia politica e sociale hanno messo in discussione i tre postulati. Oggi, l'uomo della strada non si adatta a mettersi al servizio della politica, ma pretende che sia la politica ad essere al suo servizio subito, qui, ora; crede di sapere quali sono i suoi interessi "reali"; infine, tende a togliere la delega ai propri rappresentanti anche fra un'elezione e l'altra , scendendo in piazza a difendere in prima persona i propri interessi.

Sottoposte ad un tale sovraccarico di domande, le istituzioni della democrazia rappresentativa sono entrate, così, in crisi. Affiora nel mondo dell'economia, della finanza e della stessa politica, la tentazione, il nome dell'efficienza, di imporre soluzioni tecnocratiche e burocratiche attraverso la regressione a forme più o meno palesi di autoritarismo.

In Cina la classe politica ha ricreato artificialmente con la dittatura del partito unico comunista le condizioni sociali che alla fine del Settecento e lungo tutto la prima metà dell'Ottocento avevano consentito ai Paesi europei di realizzare la loro rivoluzione industriale, l'accumulazione "selvaggia" del capitale e un rapido sviluppo economico: assenza di ogni tipo di libertà politica, proibizione di ogni forma di organizzazione e di difesa sindacale, mancanza di adeguate garanzie sociali a tutela dei più deboli eccetera. Il problema della democrazia rimane, in Cina, un problema di libertà, di diritti civili.

In Europa, dietro la "foglia di fico" del rispetto dei parametri di convergenza di Maastricht, il grande capitale -che non ha saputo rinnovare tecnologicamente il proprio sistema produttivo- sollecita il mondo politico a imporre una riduzione delle condizioni di vita generali allo scopo di consentirgli di recuperare competitività nei confronti dei Paesi asiatici e degli Stati Uniti. Il problema della democrazia, in Europea, rischia di diventare un problema di responsabilità, di partecipazione politica.

Vengo, così, alla seconda esigenza cui risponde il Movimento dei Riformatori-Radicali con le sue iniziative referendarie: quella che riguarda il grado di leggittimità della nostra classe politica.

L'Italia è, con l'Unione Sovietica, l'unico Paese al mondo che abbia cambiato la propria classe dirigente "per via giudiziaria" invece che "per via democratica". Stalin non avrebbe certo avuto bisogno, per liberarsene, di accusare e far processare per tradimento la vecchia guardia bolscevica.

Ciò nonostante, egli ricorse alla "via giudiziaria" perché, in assenza di procedure democratiche per il ricambio della classe dirigente, l'accusa di essere al servizio del nazismo avrebbe delegittimato i suoi avversari, giustificandone l'eliminazione in sede morale prima ancora che politica, e leggittimato al contempo la sua dittatura.

La stessa cosa sia pure in condizioni politiche del tutto diverse è avvenuta in Italia. Anche da noi, la "via giudiziaria" ha rappresentato la sede pre-politica, morale, nella quale si è realizzata la delegittimazione della classe dirigente della Prima Repubblica. Ma, limitandosi a processare gli uomini, si è finito col perdere la grande occasione di processare il sistema. Così, la nuova classe politica italiana, malgrado che, a differenza di Stalin, sia stata eletta in libere e democratiche elezioni, continua a godere di un grado di legittimazione popolare piuttosto basso proprio a causa della sua scarsissima capacità di iniziativa politica in senso riformista.

Tangentopoli non è stata una serie di casi individuali di corruzione e concussione, bensì il modo attraverso il quale il potere economico, in complicità con quello politico, ha eluso le regole del mercato e della concorrenza, e il potere politico ha finanziato i costi della politica e arricchito alcuni suoi rappresentanti. Per evitare altre Tangentopoli, compito di una classe politica riformista dovrebbe essere, pertanto, quello di operare su tre fronti: la trasparenza della rappresentanza politica degli interessi economici; la regolamentazione del finanziamento dei costi della politica; la tutela del mercato e della concorrenza.

Le iniziative referendarie dei riformatori-radicali hanno palesemente la funzione di "stanare" la classe politica e di costringerla ad assumere una maggiore iniziativa legislativa.

E perciò stesso esse sono, nelle condizioni attuali, più che meritorie. Ma, da sole, non bastano e, protratte oltre un certo limite, rischiano addirittura di ridurre quel poco di democrazia rappresentativa che ancora c'è nel nostro Paese, trasferendo al cittadino un potere legiferante (sia pure solo in funzione abrogativa) che deve restare prerogativa del Parlamento.

In conclusione. Di fronte al problema della democrazia negli anni a venire e a quello del grado di legittimità della nostra classe politica, le forze riformiste devono operare sia sul terreno di riforme istituzionali che garantiscano un maggior livello di partecipazione politica del cittadino ai processi decisionali che lo riguardano, sia sul terreno della produzione legislativa di norme che ne regolino in modo chiaro ed efficace i comportamenti.

La credibilità e quindi il grado di legittimazione popolare di cui gode una classe politica dipendono in modo proporzionale dalla sua capacità di iniziativa politica. I riformatori-radicali non possono sperare di poter continuare a supplire alla mancanza di capacità di iniziativa dell'attuale classe politica solo attraverso il continuo ricorso a iniziative popolari. Essi, da questo momento, devono farsi promotori, culturalmente e politicamente, di un grande raggruppamento riformista, chiamando partiti e movimenti a confrontarsi con i problemi reali del Paese in una prospettiva parlamentare e di governo.

Un caro saluto a tutti voi, e un caldo augurio di buon lavoro.

Piero Ostellino

 
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