REFERENDUM: E ORA LE RIFORMELa vera "gioiosa macchina da guerra" della politica italiana è il Partito dei riformatori alias ex Radicali alias pannelliani. Hanno trovato modo di far festa anche in una contingenza critica come questa andando a portare le firme di richiesta dei referendum alla Corte di cassazione a suon di orchestrina e passo di danza. Il burocratico adempimento si è trasformato nell'allegra gratificazione di tutti quelli che hanno dato una mano a Marco Pannella nel lanciare l'ennesima proposta-provocazione al sistema democratico che egli non smette mai di criticare ma dentro al quale sembra trovarsi meglio di chiunque altro. Nel pacchetto dei referendum sottoscritti ci sono proposte importanti o addirittura drammatiche , come quelle riguardanti il presidenzialismo all'americana e la liberalizzazione delle droghe leggere, ma in questo momento anche per il modo scelto dai promotori della sottoscrizione per concludere il loro lavoro l'attenzione è concentrata più sulla dimostrazione di vitalità offerta dal Movimento di Pann
ella e sull'ennesimo successo di protagonismo del leader che sul merito politico della sua iniziativa. Di questo ci sarà tempo per parlare quando la Corte di cassazione si pronuncerà sulla legittimità delle richieste e la Corte costituzionale avrà successivamente espresso il proprio giudizio di ammissibilità di quesiti. Comunque la consegna delle firme alla Corte è di per se stessa terreno buono per piantarci qualche considerazione circa l'evoluzione dell'opinione pubblica rispetto alla politica.
E' già stato notato che 500mila firme non sono poi molte se rapportate da una parte all'aumento della popolazione rispetto all'ormai remoto varo della legge che regola i referendum e dall'altra ai progressi della partecipazione popolare alla vita politica. Si può tuttavia obiettare che se questo è vero, non può essere trascurato il fatto che l'iniziativa non era su un unico quesito referendario, ma addirittura su 18 e che anche sul più controverso, quello riguardante le droghe, la campagna ha avuto successo, come sostengono i promotori, o ci è andata comunque molto vicina.
C'è dunque una voglia di referendum assai diffusa la cui origine non è difficile trovare in un'attesa di decisioni che faticano molto a venire dal Parlamento che pure sarebbe a norma di Costituzione il luogo deputato a prenderle. La popolazione di questa forma di consultazione è stata esaltata dal famoso referendum del giugno 1991 sulla preferenza unica (quello, per intenderci, che segnò la prima vistosa sconfitta di Bettino Craxi che aveva invitato a disertare le urne) e dall'abrogazione di alcune parti della legge per il Senato (aprile 1993) che manifestò la volontà popolare di passare dal proporzionale al maggioritario uninominale. In quelle occasioni si ebbe la sensazione che il potere fosse passato di mano e si fosse trasferito dai palazzi nelle piazze. Fu il momento del grande successo di Mario Segni, principale promotore di quei referendum: tuttavia fu il successivo rapido capovolgimento delle fortune politiche del deputato sardo a confermare una realtà emersa già ai tempi dei primi storici referendu
m sul divorzio e sull'aborto: le maggioranze referendarie non diventano mai maggioranze politiche. Possono dare e hanno dato spallate assi efficienti agli equilibri politico-istituzionali esistenti ma non sono in grado di costruire nuove maggioranze raccolte attorno ad organici programmi politici.
La campagna di adesione ai referendum che si è conclusa in questi giorni, del resto, si è concentrata sul valore in sè della chiamata alle urne degli elettori più che sul merito delle risposte da dare ai quesiti e anche per questo non c'è stata una vera e propria opposizione alla raccolta delle firme. Le stesse polemiche di Pannella e dei suoi sono state rivolte soprattutto a sconfiggere l'indifferenza, la distrazione, la mancanza di informazione e non a contrastare opposizioni dichiarate che, salvo il caso del quesito sulle droghe leggere, non ci sono state in modo organizzato, esplicito e continuo.
Nessuno, evidentemente, se la sente di bloccare sul nascere il meccanismo di espressione della volontà popolare anche quando non è condivisa la finalità politica dell'iniziativa. Si tratta del segnale di un'attesa di riforme a cui il Parlamento non dovrebbe tardare troppo a dare una risposta. Come è già stato osservato con preoccupazione attraverso l'abrogazione di alcuni passaggi dei testi legislativi i referendum possono diventare di fatto esplicitamente propositivi. A una modificazione dei rapporti fra Parlamento ed elettorato si può anche arrivare: ma in modo esplicito e dibattuto, non surrettiziamente sotto la spinta del cosiddetto ossequio alla volontà popolare e di un'autentica intenzione di aggirare la legge scritta sul referendum.