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Conferenza Movimento club Pannella
Cucco Enzo - 1 febbraio 1996
manconi sui gaywed
AGORA': MESSAGGI

345, 31-Gen-96, 20:06, A.Depetro, E.Cucco, *, 5665,

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PAR CONDICIO PER I CONVIVENTI

(La Repubblica - pag. 11)

di Luigi Manconi

Contrariamente ad Alberto Arbasino non vedo tutto questo "froufrou" e tutto questo "cancan" intorno ai cosiddetti "matrimoni gay", ma concordo con lui quando scrive che il vero quesito e': "come regolare (giuridicamente, economicamente) una serie di situazioni di fatto non ancora contemplate dal diritto? Per esempio, le unioni di lunga durata". Proprio cosi'. La risposta, certo provissoria, e' quella che - convenzionalmente, ma anche normativamente - chiamiamo "unioni civili". Su questo, insieme ad altri parlamentari, ho presentato un disegno di legge finalizzato a riconoscere e a tutelare forme di relazione coniugale, diverse da quelle matrimoniali, anche tra persone dello stesso sesso.

Gianni Vattimo, motivando la sua posizione a favore delle "unioni civili", ha fatto riferimento a due argomenti: a) la critica della "credenza filosofica in una essenza naturale della famiglia" e, dunque, il rifiuto di una "concezione metafisica" di essa; b) la considerazione delle esigenze della "stabilita' sociale". Tra tali esigenze, c'e' quella di limitare il "disagio" e "l'infelicita'" degli omosessuali "che si vedono discriminati"; c'e' l'opportunita' di garantire, attraverso il riconoscimento di nuove forme di convivenza, una rete di sostegno e di assistenza che le strutture pubbliche, delegate alla sicurezza sociale, non sono in grado di assicurare.

A queste motivazioni, ne va aggiunta un'altra: nel nostro ordinamento il matrimonio e' l'unico contratto precluso a due persone dello stesso sesso; e, con esso risulta preclusa la tutela giuridica di quei beni (diritti e garanzie) che dovrebbero accompagnare la formazione di una coppia, anche dello stesso sesso, unita da affetto e solidarieta', da un progetto di vita e da uno scambio sessuale. Quei beni non vengono in alcun modo tutelati dalla nostra legislazione nel caso di una coppia formata da individui dello stesso sesso: cosi' come non vengono tutelati per quanti (eterosessuali e omosessuali) vogliano contrarre un vincolo - piu' "leggero" ma comunque capace di assicurare diritti - diverso da quello matrimoniale.

Dunque, l'ipotesi delle "unioni civili" risponde a una cruciale domanda di eguaglianza. Che si puo' caricare di sofferenza, dal momento che la diffusione dell'Aids ha prodotto gli effetti laceranti anche sotto questo profilo: come garantire, a chi ha convissuto con una persona dello stesso sesso, il diritto di assistere il proprio partner che si trovi morente in ospedale, in presenza dell'ostilita' della famiglia, dell'ambiente e del personale sanitario? E tuttavia, se e' vero che "qui si parla di codice civile", e' altrettanto vero che le implicazioni morali del riconoscimento giuridico della coppia omosessuale possono essere rilevanti. E non certo come estrema manifestazione di "consumismo sessuale" e di "disgregazione morale" (cosi' sembra pensare la gerarchia cattolica). Oso dire che si tratta dell'esatto contrario.

E infatti, nella richiesta delle "unioni civili" emerge - oltre alla rivendicazione dei diritti - una domanda di riconoscimento sociale e di identita' morale. Dunque, dichiarazione di dignita', aspirazione alla parita' e, insieme, affermazioni di valori. Di valori propri e autonomi.

Questo rimanda a quella crisi della "concezione metafisica" e "naturalistica" della famiglia di cui ha scritto Vattimo. tale concezione risultava strettamente dipendente dalla vitalita' e dall'egemonia di una morale di maggioranza che, nel nostro paese, si identificava con il senso comune - prima ancora che con la dottrina - del cattolicesimo (inteso, qui, come precettistica e come sistema di obblighi e di divieti). Le grandi trasformazioni sociali e culturali conosciute dall'Italia in questi decenni e i mutamenti avvenuti nell'idea e nella pratica della famiglia, hanno prodotto altrettanti cambiamenti nella sensibilita' collettiva. Se la concezione "metafisica" e "naturalistica" della famiglia non e' piu' incontrastata e, forse, neppure piu' maggioritaria, essa non puo' risultare piu' la sola fondata moralmente. Chi propone un'altra idea e un'altra pratica di famiglia (una pluralita' di famiglie) non si limita, dunque, a contestare l'unicita' del modello e la sua presunta superiorita': intende affermare la

moralita' di altri modelli.

Non rivendica dunque (non rivendica solo, non rivendica tanto) il diritto alla trasgressione: bensi' il diritto alla fondazione morale di altre morali, di altri sistemi di valori, di altre idee della sessualita' e della coniugalita'. Consiste in questo l'importanza, anche etica, di quella rivendicazione, che resta, in primo luogo, civile: nello scenario che evoca. Uno scenario dove, appunto, non prevede l'"amoralita'" o il "consumismo sessuale": ovvero una sorta di "deserto" in cui griderebbe solo "la voce" dell'etica cattolica. Al contrario. Proprio dalla crisi della morale di maggioranza (inteso come sopra detto) nascono molte morali parziali: di minoranza e di subcultura, di identita' e di movimento. Ognuna di esse ha il suo fondamento proprio nel sapersi e nel disrsi parziale e nel rinunciare a qualunque pretesa di totalita' e di unicita'. Da qui, anche, il delinearsi di qualcosa di simile a una "morale omosessuale", che pure si sa e si vuole limitata e provvisoria; e che si esprime, essenzialmente, nell

a volonta' di motivare, anche sotto il profilo etico, comportamenti ritenuti (in passato, dai piu' e, tuttora da molti) devianti.

Tutto cio' allude, dunque, non all'assenza di morale, bensi' a un eccesso di morale e di morali. E con questo, tutti - anche la Chiesa cattolica - si devono misurare.

 
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