LE LEZIONCINE DEI PROFESSORONI
Gli accademici imperversano su tv e giornali.
Articolo di Iuri Maria Prado
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Ve ne sarete accorti; non c'è quotidiano, dibattito, trasmissione televisiva che, trattando di politica, non dia spazio alle togate lezioncine di civiltà giuridica e istituzionale (ma anche morale) di un qualche <>. E criticano. E condannano. E censurano. Questo sbaglia, dicono. Quello è ignorante. Quell'altro è un fesso. Ora questo improvvisa risoluzione anti-tutto di certo opinionismo accademico può piacere, ma ci si domanda dove fossero e di quale realtà si occupassero quei signori, negli anni e nei mesi precedenti quest'ultimo periodo di riformismo farlocco.
Non c'è grande firma del giornalismo italiano che non abbia creduto di dover mettere il suo becco presuntuoso nella broda polemica del ricambismo costituzionale. Perché? <>. Sarà. E tuttavia, a me sembra che tanta foga innovatrice si giustifichi se c'è qualcosa da innovare. Ora questo qualcosa, se c'è, c'è da cinquant'anni, eppure la gran copia di articoli che con preoccupata frequenza, in questi giorni, addensano le prime pagine dei quotidiani, a noi pare un fenomeno nuovo.Com'è che i tecnici delle istituzioni, del diritto, della politica, grufolano per decenni tra le regole che governano il nostro sistema e poi scoprono che colpa di tutti i mali è di quelle regole medesime? Io sarò tonto, ma tutto questo strillare sul <> lo Stato non me lo spiego, se penso al pervicace silenzio tenuto dagli attuali sullo Stato <> (cioè identico a oggi).Si dirà che un professore, se la sua vita è quella accademica, non ha obbligo particolare di impegnarsi coerentemente nel dibattito politico. Ma se uno scrive sui giornali, se, intervistato in televisione, dà voti ai segretari di partito e boccia questo e promuove quell'altro, allora forse il discorso cambia, e la toga di professore non basta, non basta più rendere imparziali le due colonne quotidiane.
Pare che i costituzionalisti, gli econimisti, gli storici della politica, si siano risvegliati il 27 marzo 1994, come se i governi che hanno preceduto quello di centrodestra fossero esempi di eccellenza. Il professor Modigliani è stato regolarmente chiamato da Raitre a sbeffeggiare Berlusconi e Martino, e dato che noi di economia non capiamo un'acca non ci azzardiamo a valutare la fondatezza di quelle critiche. Ma dove fossero Modigliani e i suoi autorevoli colleghi quando imperversavano le decine di governi che hanno devastato le finanze italiane, be', questo è legittimo domandarselo.
Così, senza andare tanto indietro, durante il corso del governo Dini. Non ho letto editoriali tanto duri e spietati, quanto quelli usciti dalle penne di Galli della Loggia, di Panebianco nelle ultime settimane di vita del passato governo. Quest'ultimo, tuttavia, non è durato un mese ma un anno, e tra le pesantissime censure che quegli autori hanno mosso contro Dini, non c'è una che non fosse attuale già al tempo del ribaltone o di lì a poco. Pure, per tanti mesi, silenzio.
A tacere di quell'altro silenzio-non proprio commendevole-sopra una circostanza che si fa le viste di ignorare e che invece non sarebbe male tener presente. Nel dibattito sulle tante soluzioni che si stanno impasticciando in tema di legge elettorale, nessuno parla di un'altra ipotesi, in ordine alla quale non i segretari di partito o la triade di professorelli, ma-se non sbaglio-oltre seicentomila- cittadini italiani, hanno manifestato la loro ferma
opinione.
Si tratta di quelle sciocchezzuole di referendum,tesi alla soppressione della quota proporzionale ancora prevista per l'elezione dei parlamentari. Corte costituzionale permettendo su quei due quesiti referendari si andrà a votare il prossimo anno: a meno che qualcuno non interponga un pastrocchio, alla faccia di quel popolo sempre buono e caro finché gli si può imporre il bavaglio.