di Angiolo Bandinelli"L'Opinione", 16 marzo 1996
"Pannelleide", secondo un quotidiano romano, il gran rifiuto opposto da Pannella al Polo, e la conseguente decisione di correre da solo. Un fatto caratteriale, insomma, l'ennesima manifestazione di un imprevedibile personaggio. Davvero è tutto qui?
Conosco Pannella da trenta anni, da quando alla fine degli anni '50 decisi, da incorreggibile avventuriero, di scommettere una decina di anni sulla nascita di un leader liberale. Credo di aver vinto quella scommessa, e non ho ancora trovato motivo di pentirmene, nonostante gli anni si siano triplicati. In termini di dare e avere la partita è in pari, e forse con qualche mio guadagno intellettuale: perché sempre, nei trenta anni trascorsi, Marco Pannella ha dato a profusione, a me e a quanti amano queste cose, la ricchezza di un pensiero che io ritengo sia tra i più alti della teoria liberale italiana del secolo. Più volte ho provato a raccoglierne gli sparsi frammenti, ma sempre ho dovuto desistere, perché il meglio di sé Pannella lo ha dato nel dialogo, nel commercio intellettuale non con i dotti, i savi, i professori (magari della taglia di quelli che sono entrati nelle liste del Polo pensando, con la massa, di riempire il vuoto amaro che vi si è creato) ma con la gente, la gente incontrata nelle piazze e
nelle strade, nelle marce e nei digiuni, o anche attraverso quel costante miracolo che è radio radicale (di cui fa tesoro quella cosa incredibile che è il suo archivio sonoro, monumento di cultura politica che non ha eguali in Italia).
Oggi, Pannella corre solo. E se questo è l'ennesimo episodio di una interminabile "Pannelleide", sicuramente è episodio drammatico. Non per Pannella, però. C'è, in questa scelta difficile, un prezzo che dovrà essere pagato dal paese. Perché non si può dubitare che una campagna elettorale che vede tornare alla ribalta De Mita e Giorgio La Malfa, e persino dispiegarsi di nuovo, bianco e protervo, il simbolo dello scudo crociato, è una campagna la cui credibilità è minata dal fondo. E' impossibile attribuire ad una evoluzione positiva del referendum del 1993 o delle elezioni dell 1994 questo osceno ritorno alla ribalta di tutto il personale della prima Repubblica, non in posizione defilata e comunque nell'accettazione delle nuove regole del gioco, ma portandosi appresso, visibilmente, un feroce, violento, desiderio di vendetta, di farla pagare a chi aveva sperato, in questi due strani, effimeri anni, di aver compiuto la rivoluzione della Seconda Repubblica.
Non vogliamo fare né i veggenti né le prefiche: ma confessiamo di aver paura per quanto potrà accadere il 23 aprile, alla apertura delle urne. Sconfitti di ogni sorta e colore, restati per due anni a rodersi nel silenzio e nella rabbia, potranno una volta rientrati in corsa dimenticare, e riprendere il discorso dal punto in cui erano stati costretti ad interromperlo? Le avvisaglie di quanto potrà accadere già le vediamo in questi giorni: la canea giudiziaria già fiuta l'aria e si è scatenata, per arrivare a chiedere il compenso sperato e magari già pattuito dai vecchi/nuovi padroni.
Ma, al di là di questi elementi personali, la partita aperta con le prossime elezioni è di enorme portata: si tratta di sapere se questo Paese è condannato al suo grigio destino di piccola provincia dell'antico, mai debellato clericalismo da sempre nemico delle rivoluzioni napoletane, dei Romolo Murri e degli Ernesto Buonaiuti e, insieme, dell'altrettanto antico e mai abbandonato conformismo di maggioranza, ieri illuso dalla vulgata marxista di Togliatti (il Roderigo di Castiglia nemico di Vittorini come dell'arte moderna) e oggi convinto di essere finalmente approdato ai lidi di un moderno liberalismo. E c'è di peggio: si tratta di sapere se l'Italia diverrà un Paese aperto all'Occidente, capace di affrontare la sfida del nuovo secolo e dei grandi mercati, o se si chiuderà ancora una volta nel parassitario ghetto dove prospera la monocultura protezionistica degli Agnelli-Cuccia-Prodi.
Questa è la situazione, a nostro avviso: e vorremmo sbagliarci. E temo - temo! - che Pannella abbia reagito da par suo a una previsione di questo genere: cercando cioè di mantere aperto, per piccolo che sia, un briciolo di speranza perché certi valori non siano travolti dal riflusso. Non si tratta certo, o solo, di aborto o di droga: ma di qualcosa di più profondo, che definirei come la continuità stessa di una storia la cui perdita sarebbe senza prezzo. Io, che nutro le stesse preoccupazioni, che con uguale sgomento vedo attorno a me accadere quello che tutti possono vedere, io non ho dubbi: mi schiero con Pannella.
Molti, moltissimi anni fa, quando il Partito Radicale era solo una etichetta con una diecina di giovanotti dietro (Marco e noi), fui spedito alla sede del PCI di allora, per "trattare" un accordo elettorale tra i due partiti. L'esponente dell'immenso partito di Berlinguer (o di Longo, non ricordo) mi disse che loro erano disponibili per darci qualche seggio in parlamento, in cambio dell'uso elettorale di quella etichetta, appunto. Marco fu irremovibile: ogni accordo doveva passare per un incontro "formale" tra le due Segreterie. Io lo guardavo come si guarda un matto: noi, quei giovanotti eravamo la Segreteria e tutto il Partito. Che si era messo in testa, Marco? L'accordo, ovviamente, non si fece, ma da allora partirono le grandi campagne liberali, libertarie e liberiste cui oggi tutti applaudono, anche quelli che non le hanno mai fatte.
No, caro Settembrini: è proprio sbagliato il giudizio che tu dài, secondo il quale Pannella sarebbe, per temperamento, inadatto al bipartitismo. La tua analisi è sbagliata, semplicemente perché tu non ne hai mai discusso in quel Laboratorio Politico che è il Movimento dei Club, almeno nella misura in cui è erede del vecchio Partito Radicale. Pannella crede e lotta per il bipartitismo, ma tu non ti sei accorto che qui non c'è bipartitismo, ma solo un bipolarismo con il suo asse non sui "moderati" (questa oscena categoria, alibi per ogni cedimento morale prima che politico) ma sul clericalismo dei non-credenti della vecchia DC, che i due schieramenti si contendono a colpi di seggi.
Sempre moltissimi anni fa, altri "liberals" gettarono tutto il peso del loro disprezzo intellettuale, di laici sicuramente non meno raffinati e colti di quelli d'oggi, contro l'"anticlericalismo" degli straccioni radicali che si battevano per il divorzio e l'obiezione di coscienza con cartellonate e altre buffonerie. Bene, io ero tra quegli straccioni.