(Ma, prima, contiamoci)di Angiolo Bandinelli
("L'Opinione", 12 maggio 1996)
Non risponderò punto per punto al questionario de "L'Opinione". Cercherò di svolgere un ragionamento unitario, per concludere con alcuni punti o proposte precise.
Vediamo, dunque: la gran parte dei fin qui intervenuti rimprovera a Marco Pannella l'aver di fatto liquidato il Partito radicale (proiettato in quella che Spadaccia definisce, al più, una "generosa illusione") così disperdendo un gruppo politico efficiente, organizzato e ritenuto in grado di offrire alla crisi politica italiana obiettivi positivi, laici, liberali o come li si voglia definire.
Questa ricostruzione storica è sbagliata. Il Partito radicale rievocato tra rimpianti e nostalgie era - proprio quello - un relitto storico, senza forza innovativa e possibilità di successo. Il partito rinato agli inizi degli anni '60 per il formidabile impulso pannelliano si trovava già da lunga pezza in una situazione di stallo. Fin, direi, dalle elezioni del 1979, che dimostrarono come le possibilità che un progetto radical-liberale potesse (in 'quel' paese, in 'quella' Italia) divenire maggioritario erano pressoché nulle. La lunga stagione del craxismo trionfante bloccò (pur in una dialettica profonda di umori e di spiriti, secondo la ricostruzione fatta della vicenda da Gianni Baget Bozzo nel bellissimo articolo apparso sul numero di maggio di "Liberal") ogni residua speranza di autonoma crescita del radicalismo pannelliano. Miracolo fu anzi se Pannella riuscì, lanciando grandi tematiche dei diritti civili come la fame nel mondo, a tener ad un livello altissimo di presenza e di dialogicità la baracca, e
a dare un significato non occasionale al lavoro, professionalmente pregevole, svolto in parlamento da un gruppo che però, considerandosi inamovibile, impacciava anch'esso l'arrivo di nuove, fresche energie. Quel partito era irrimediabilmente bloccato sul 2,50-3%: le stesse dimensioni che sono oggi giudicate insufficienti.
Quando presenta una Lista elettorale definendola attraverso il proprio nome, Pannella ha una intuizione straordinaria che, quanto meno nella forma, individua un processo destinato ad aver ulteriori seguiti, fino alle recenti trovate della Lista Dini e di Prodi (e allo stesso 'appeal' berlusconiano). Dando al Partito radicale, troppo storicamente caratterizzato e quindi non facilmente accettabile, un altro (comunque essenziale) ruolo, Pannella cerca di proporre un nuovo soggetto politico, flessibile ed aperto ad esperienze diverse, partendo ovviamente da quelle laico/socialiste e non escluse quelle di estrazione cattolica, travolte anch'esse dalla crisi partitocratica. Tutto il 1993 è impegnato (con gli "autoconvocati delle 7", ecc.) nel tentativo. Che fallisce: non perché, in alternativa, si siano affacciate e abbiano avuto successo altre e diverse formule messe in atto da altri leaders: ma perché le forze chiamate a collaborare - ex democristiani, ex socialisti, ecc. - non se la sentono, e preferiscono il s
uicidio puro e semplice o il tentativo (portato fino alle sue ultime conseguenze dai vari Intini, Spini, La Malfa) di riesumare i rispettivi cadaveri partitici.
L'offerta di Pannella appariva inaffidabile? E' il rimprovero che gli viene fatto. A parte atteggiamenti, momenti, errori, imputabili al personaggio che Pannella è, l'accusa è senza riscontri: quelli che potrebbero venire da altre vicende o percorsi, dimostratisi più felici e costruttivi. Valga per tutti il caso Segni. Invece, il percorso pannelliano è coerente nel dare sostegno e spinta, ma anche motivazioni, indicazioni e progetti programmatici alla creazione di un polo (con la p minuscola) di stampo liberale, liberista e libertario. Un progetto, per Pannella, storicamente di tale portata da giustificare qualunque sacrificio, qualunque rischio, compresa la messa in gioco della propria persona e del proprio destino politico. E abbiamo tutti potuto vedere quanto drammatica, difficile, rischiosa, ma anche di altissimo rilievo, sia stata tale scelta nel suo sofferto procedere quotidiano. Nessuno di coloro che oggi muovono rimproveri ha nemmeno lontanamente saputo contrapporre un'altra indicazione che avesse un
qualunque senso strategico. Nessuno di questi critici ha saputo, e nemmeno ha tentato, di costruire, sulla lamentata crisi del partito radicale, alcunché. Di questi, coloro che ancora vivono politicamente lo fanno da posizioni scevre di autonomia politica mentre tutti, in blocco, per continuare a in qualche modo esprimersi hanno dovuto riporre in soffitta la complessa polifonia del disegno pannelliano.
Tra le tante cose scritte in questi giorni (più in tono di epicedio che di analisi politica) su Marco Pannella, la parte più debole è, insomma, proprio il giudizio sul suo percorso degli ultimi due-tre anni, dalla "transnazionalizzazione" alla nascita della "Lista Pannella" sconfitta alle ultime elezioni. Viene demonizzato il rigore, la costanza, con cui Pannella ha secondato, appoggiato, sostenuto il tentativo berlusconiano di dare vita ad un polo (con la minuscola) di destra, maggioritario e uninominalista. E' qui invece l'altissima qualità della battaglia condotta negli ultimi anni dal leader radicale e riformatore: forse la più importante e decisiva tra le tante combattute in trenta anni.
Credo che tutti concordino sul fatto che mai Pannella si è nascosto l'estrema difficoltà delll'impresa: Spadaccia ha ritenuto di poter denunciare il peso negativo delle accuse di scarsa onestà, che avrebbero elettoralmente travolto il Polo (con la maiuscola) facendogli ieri mancare la decisiva vittoria. Non sta a me, e in questa sede, avallare o respingere la sua affermazione. Ma tali voci non erano ovviamente ignote a Pannella, e certo non potevano far piacere a chi ha improntato la sua iniziativa politica a rigore e chiarezza. Tuttavia, con senso di responsabilità e da grande politico, Pannella si è reso conto che per creare e a stabilizzare nel nostro paese una forza alternativa occorreva (e ancora occorre) affrontare anche questo rischio, accettando di sporcarsi le mani o quanto meno di apparire come uno che si sporca le mani, senza falsi pudori o cedimenti vili ed ipocriti. Mi pare sia stato Previti, subito dopo il 27 marzo del 1994, a preconizzare lo squagliamento di Pannella, entro brevissimo tempo, v
erso quella sponda progressista verso la quale sembrava che tutta la sua storia dovesse portarlo. Tale salto della quaglia non c'è mai stato, nemmeno in ipotesi. Nella sua costante ricerca di autonomia, di giudizio ed operativa, Pannella è stato un pilastro saldissimo del Polo, di quel Polo metà del quale, come singoli e come forze, sembra sempre essere sul punto di sganciarsi, di balzare sul primo carro, centrista o meno, che si profili all'orizzonte.
Sia o meno, oggi, presente in parlamento, Pannella ha rappresentanto una delle più forti carte legittimanti del Polo (con la maiuscola), una barriera senza smagliature eretta contro gli attacchi più violenti ed insidiosi. Alcuni dei suoi eletti del 1994 hanno ritenuto opportuno defilarsi e insinuarsi singolarmente nel Polo; una scelta che non ha portato al Polo altro che un po' di competenze tecniche, mentre proprio l'intransigente 'separatezza' dei Riformatori ha costituito un elemento di chiarezza e di affidabilità, per chiunque non fosse acciecato dalle cortine fumogene. Nonostante l'insipienza della sua leadership (Baget Bozzo ha ancora ragione) non è immaginabile la vicenda del Polo priva dell'arricchimento costante costituito dalla spinta pannelliana. Da cosa pensate che fosse determinato il viscerale, virulento odio antipannelliano dell'Ulivo ed affini? Questo comincia oggi ad essere riconosciuto anche da una persona insospettabile come Giuliano Ferrara; guarda caso, un altro 'isolato' nell'impresa di
costruire la grande destra liberale (come è oggi, caro amico Strik Lievers, storicamente necessario).
Mi pare impossibile non si riesca a riconoscere questa dura coerenza e fedeltà del leader Riformatore verso l'obiettivo perseguito con testarda ostinatezza per tutta una vita e finalmente, in qualche modo, intravisto all'orizzonte. Errori (qualcuno ha parlato anche di 'ubriachezze') vi sono stati. Ma forse inevitabili, data la congiuntura, i soggetti coinvolti, il contesto. E a volte, in questo o quel momento, si è avvertito in lui anche affanno, e persino una angosciata disperazione, motivati probabilmente dalla consapevolezza del baratro che si stava aprendo non solo per lui quanto piuttosto per il complessivo progetto della costruzione liberale. Ma in una delle sue ultime frenetiche iniziative, la campagna referendaria dell'autunno scorso con i suoi digiuni e i suoi nudi, Pannella ha intanto messo in cascina, come si dice, un patrimonio di inestimabile importanza: per tutto il Polo, se lo capirà.
In conclusione? Nessuna recriminazione, per favore, come anche nessun abbandono a ringraziamenti di sapor tetro. Il 'teorema' pannelliano ci coinvolge ancora tutti: seguaci e critici, acidi accusatori ed anche colletti bianchi e pere fresche del nuovo bigoncio parlamentare: come creare il Polo della destra liberale e liberista. Quel che scorgiamo lì dinanzi a noi è ancora un pericolante agglomerato, senza un'anima precisa e una direzione di marcia visibile. Non è colpa di nessun, perché dobbiamo metterci in testa che il liberalismo del XXI secolo è tutto da inventare. Ma occorre incamminarci, senza altri indugi.
Sommessamente, vorrei dare, ai ricercatori più attenti, l'indirizzo del Partito Radicale transnazionale, con annessa visita guidata al Tribunale Internazionale dell'Aja: c'è molto da imparare, lassù. Ma poi occorrerà far tesoro di quel che offre la tavola: parlamentari disponibili, giornali (ce ne è già qualcuno, partendo da questo, così ospitale ed attentissimo), forze militanti di lotta politica (come il Movimento dei Club, battuto ma non estinto), l'insostituibile Radio Radicale. A tutti costoro, Giovanni Negri lucidamente offre ora un fronte di impegno. Ha ragione: rifiutando la "restaurazione delle vecchie famiglie politiche" (compresa - aggiungo io - quella radicale) indica invece la battaglia per la convocazione di una "Costituente".
Che io farei precedere, però, da una o più assise, libere ed informali, articolate e senza immediati obiettivi vincolanti, ricognitive e propositive prima che progettuali, di quanti si riconoscono nella tradizione liberale e vogliono rilanciarla nel nostro tempo politico.