di Angiolo Bandinelli("L'Opinione", 31 luglio 1996)
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DALLA RIVOLUZIONE AL CONFORMISMO
Un pomeriggio dell'estate 1967 (o 1968) mi presentai al cancello della sede di "Lotta Continua", a Via Dandolo, chiedendo di parlare con il direttore del giornale, Adriano Sofri.
Nessuno di noi, del Partito Radicale, aveva fino ad allora avuto un contatto qualsiasi con il già celebre leader del gruppo extraparlamentare. Ma io lo avevo incontrato spesso, nei grigi stanzoni della tipografia a due passi dalla sede del movimento dove mi occupavo del periodico "Notizie Radicali", quando a intervalli molto saltuari riuscivamo a impostarne un numero, mentre Adriano Sofri vi dirigeva il suo splendido quotidiano, agitatore di spiriti anticonformisti e libertari. I due periodici venivano lavorati su due lunghi banconi paralleli, a contatto di gomito; ma né io né altri della nostra équipe aveva mai scambiato una parola o una occhiata con lui, quando appariva a dirigere (anche lì, mi pare di ricordare, con in testa il berretto con il quale venne immortalato dai fotografi a Reggio Calabria, tra i tumulti di una rivoluzione sognata), a impaginare, a correggere.
Venni fatto entrare e passare indenne tra tre o quattro enormi mastini napoletani che mi scrutarono con occhi rossastri e opachi: salii poi scale e traversai corridoi dove si muoveva una gioventù che mi parve (e ne provai qualche invidia) febbrile, entusiasta e fiduciosa di un destino prossimamente vincente. Il nucleo dei radicali era già un po' più maturo d'età. Non poteva concedersi gli entusiasmi di una rivoluzione cui non credeva: qualcuno di noi indossava abiti a doppio petto, e già questo giustificava il visibile disprezzo con cui quei giovani di "Lotta Continua", come i loro cugini del "Manifesto" ed in genere i fratelli del neonato Movimento Studentesco ci trattavano, anche quando venivano per le loro interminabili discussioni alla nostra sede di Via XXIV Maggio, che noi mettevamo a loro disposizione gratis, ovviamente, mentre eravamo intenti a racimolare dai nostri magri stipendi il denaro per l'affitto mensile. Che attrattiva potevamo avere agli occhi di quella balda gioventù, con il nostro borghes
issimo divorzio?
Arrivai finalmente ad una stanza non troppo grande, con Adriano Sofri poco discosto dalla finestra, in mezzo ad altri. Gli porsi il plico che conteneva il volantone con cui "lanciavamo" la nostra Marcia Antimilitarista Milano-Vicenza, la manifestazione nella quale per alcuni anni, assieme a molti schizoidi asociali e freak fumati, pochi valdesi e protestanti, alcuni obiettori in carcere o prossimi ad entrarvi, un po' di assistenti sociali in rivolta contro quello che allora si chiamava "universo concentrazionario", spendemmo le vacanze estive distribuendo con parsimoniosa oculatezza decine di migliaia di volantini, facendo comizi dinanzi al carcere di Peschiera o nelle piazze cittadine, diffondendo slogan sul disarmo unilaterale, per la riduzione delle spese militare, per l'introduzione anche in Italia dell'obiezione di coscienza.
Sofri aprì il plico, lesse il volantone. Disse, tranquillamente: "Lo pubblico tutto". Fu di parola. Da allora tra lui e noi si avviarono contatti, dapprima un po' imbarazzati e formali poi sempre più frequenti, fino ad amicizie divenute anche fratellanza di idee e di lotte.
Ma perché questo ricordo? Sarà, questa, una nuova estate di impegni e di marce giovanili? Macché. Sarà invece l'estate del "Caso Rostagno" e della incriminazione di esponenti della Comunità Saman, e sopratutto dell'attacco a "Lotta Continua" o ai suoi dispersi figli e membri: che, ci si accorge con sorpresa, sono divenuti parte integrante dell'"establishment" del paese, giornalisti famosi e dirigenti di vaglia. Dunque, qualche frammento di una storia di gruppo non sarà inutile, qualche testimonianza può essere almeno curiosa, se non fondamentale all'impresa.
Certo, la mescolanza di ruoli di cui oggi ci si sorprende non può non comportare qualche riflessione. Co-dirigere un giornale di Agnelli (come ha ricordato Martelli), collaborare a testate e iniziative non meno integrate, non è senza responsabilità nel produrre una politica piuttosto che un'altra, censure e manipolazioni comprese. Ma per questo dovremo metterci a fare le pulci alla moralità di questo o quello? Sogghignare con sarcasmo? Eccitarci a basse vendette? No, nessun moralismo, nessuna critica a scelte "personali". Ma il rimescolio di ruoli qualche significato deve pur averlo, e riflettervi sopra non farà male.
Innanzitutto, grave ci pare che le varie, storiche classi dirigenti e politiche di questo paese si siano affidate a chi un giorno pensava, si illuse, sognava di distruggerle. Ciò significa, quanto meno, che quelle classi dirigenti e politiche furono incapaci di esprimere dal loro seno eredi e continuatori cui affidare i propri valori, la propria progettualità. Quelle classi dirigenti erano sterili, e inesistente il loro progetto. Cinicamente, hanno allora adottato la tattica di cooptare in difesa di sé e dei propri valori (o interessi?) i propri avversari: dopo averli, beninteso, disarmati (e non solo metaforicamente). Ma cinismo chiama cinismo: proprio sui giornali diretti da questi ex-rivoluzionari (exlottacontinuisti, ma non solo) appaiono le formule, le intepretazioni, le indicazioni più sconcertanti, più disattente ad ogni ipotesi di rinnovamento reale del paese. Luoghi comuni, cultura dell'evasione, accurata chiusura nei confronti dei reali processi dialettici e dialogici: la modernità come intelligenz
a e capacità al servizio dell'esistente. Non solo inaccettabile ma, temiamo, pericoloso.
Almeno, a chi ritiene che i progetti, i programmi dialettici e alternativi sono valori, preziosissimi e delicatissimi, anch'essi modi del governare, forme necessarie, essenziali, della responsabilità pubblica verso il paese; e che lo stracciarne i paradigmi per tranquillamente sollevarne, attuarne, realizzarne altri è il primo dei delitti contro una ordinata democrazia. Se oggi viviamo nella cultura del ribaltone, della disinvoltura culturale e politica, dell'inciucio, della indifferenza verso i regolamenti essenziali del sistema democratico, per il quale alternanza e alternativa sono pilastri che devono essere, ma anche apparire saldi e fermi, un po' di responsabilità va attribuita anche a questi intelllettuali che, prima illusi e poi delusi dalla rivoluzione, non riescono oggi nemmeno a leggere e a capire, dove si presenti, la logica, semplice e netta, dell'alternanza e dell'alternativa. Insomma, della democrazia.