LA CARICA DEI VENTI REFERENDUM
Due pagine intere dedicate ai venti referendum
INTERVISTA A MARCO PANNELLA di Simonetta Bartolini
pag.6
Intervista al leader dei Riformatori che esorta il Polo a fare un'opposizione serrata: "Stiamo chiedendo ai dirigenti del centro-destra di incontrarci per scongiurare insieme il pericolo dell'inciucio".
PANNELLA: "SIAMO GOVERNATI DA FUORILEGGE"
"Il Quirinale firma norme che violano il responso dei cittadini"
MARINA DI PIETRASANTA (Lucca) - In un pomeriggio ferragostano, che registra spiagge semivuote e tempo instabile, a Marina di Pietrasanta nel parco della villa che ospitò D'Annunzio arriva Marco Pannella. E' reduce da un giro in Sardegna per raccogliere soldi e far sopravvivere il movimento dei Riformatori; e fresco di dichiarazioni a favore di Bossi. Telefonicamente, prima dell'incontro al caffè della Versiliana, mi dice di non avere nessuna intenzione di comportarsi da ospite del salotto buono di Romano Battaglia: "Chiederò soldi, io sono da salotto cattivo". Oltre a Battaglia, padrone di casa, siamo in due, giornalisti, con il compito di sollecitare il leader dei Riformatori su argomenti di attualità, ma l'impresa si rivela immediatamente disperata. Pannella è un fiume in piena, inarrestabile, incontenibile, travolgente; seppellisce tutti sotto una cascata di parole, vuole parlare degli argomenti che gli stanno a cuore e non ha nessuna intenzione di lasciarsi coinvolgere in quelli che non lo interessano
in questo momento. Questa è la cronaca di un'intervista che si è svolta in parte davanti al folto pubblico della Versiliana, e in parte in privato. Naturalmente la prima parte riguarda le profferte di Pannella a Bossi. Perché in questo momento? "Bossi, in questo momento, con la secessione, rappresenta una garanzia di visibilità, non interloquire con lui significa non esistere. Esattamente come negli anni del terrorismo si dava spazio ai comunicati deliranti delle Br, oggi si concentra l'attenzione dell'opinione pubblica sulle provocazioni del Senatùr, lo scopo è quello di uccidere la politica, l'interesse dei cittadini dai veri problemi, pensioni, finanziaria, debito pubblico e i nostri venti referendum che propongono questioni politiche sulle quali tutti dovrebbero essere sollecitati a riflettere. Il vero problema non è secessione o antisecessione, ma inciucio o Bossi. Perciò io ho cercato di metterlo in guardia dalla strumentalizzazione alla quale si sta prestando. La questione secessionista la vuole l'Uli
vo, la vuole la Fiat, non sa non volerla il Polo".
D. Che cosa è successo fra Pannella e Forza Italia?
R. Nel '94 Berlusconi scese in campo con un programma liberale, liberista e libertario ispirato da me e da Antonio Martino e coloro che dovevano vincere non vinsero, poi abbiamo scelto di stare con il Polo pretendendo di firmare un accordo che garantisse che non ci sarebbe stato l'inciucio, e il povero Berlusconi si è trovato a dover fronteggiare gli avversari con sulla testa la spada di Damocle di Mediaset, con una storia di persecuzioni che non ha eguali. Berlusconi per cinquanta o sessanta giorni fino alle quattro del mattino stava con i suoi avvocati; che Paese è quello nel quale uno come Berlusconi deve vedersi ventisette, ventotto iniziative contro, in tre mesi più iniziative giudiziarie che in ottant'anni, e niente contro i padroni dell'Italia, la Fiat, la Sinistra? Adesso esorto il Polo a rappresentare una vera opposizione, un'opposizione politica, che non sia solo quello che fa il mio amico Feltri sul Giornale, quella è la linea di un quotidiano, la politica deve essere un'altra cosa. Noi adesso sti
amo chiedendo ai leader del Polo di incontrarci, per scongiurare il pericolo dell'inciucio.
D. Parliamo dei referendum: non c'è il rischio che l'ipertrofia referendaria faccia disamorare gli Italiani dalla politica visto anche che regolarmente i risultati delle consultazioni popolari vengono disattesi dal Palazzo? Che senso ha programmare e proporre una sconfitta della sovranità popolare?
R. Il problema è lottare per ottenere quanto si desidera, proporre il problema, richiamare l'attenzione sulle vere questioni della politica, quelle che interessano tutti noi. La vera overdose è quella delle quotidiane dichiarazioni che televisioni e giornali ci impongono, dichiarazioni inutili, mentre si tace su droga, aborto, smilitarizzazione della Guardia di Finanza. Certo poi quando noi li vinciamo ci rubano i referendum, i presidenti della Repubblica, da Cossiga a Scalfaro, controfirmano leggi anticostituzionali che violano i dettati dei referendum, ma che cosa volete fare? Poiché non è possibile far funzionare da democratici questi fuorilegge che ci dominano dobbiamo rinunciare alla democrazia?
D. Perché Pannella propone l'abolizione dell'Ordine dei Giornalisti?
R. In tutti i Paesi civili, dove c'è un grande giornalismo, non c'è l'Ordine dei giornalisti. L'Ordine è nato negli anni Trenta nell'ambito di una concezione molto seria dello Stato corporativo. Oggi non ha senso, già Einaudi scriveva che bisognava garantire ad ogni cittadino il diritto di scrivere e di stampare, invece da noi non è possibile, perché per pubblicare un giornale c'è bisogno di un iscritto all'Ordine che lo diriga. L'Ordine dei giornalisti è al servizio del potere. Come la magistratura, i giornalisti sono stati gli unici a godere di trattamenti di favore. I magistrati hanno avuto dal regime partitocratico condizioni di carriera e di danaro unici, e anche i giornalisti, perché sono stati perno e fondamento di questa nuova edizione dell'antidemocrazia. I giudici, poi, hanno fatto una cosa molto italiana, si sono schieranti contro la mafia perdente del Caf, per far meglio l'accordo con la mafia vincente dei corleonesi dell'Ulivo.
D. Veniamo al caso Priebke
R. La sera della sentenza guardando la televisione sono stato colto da un progressivo senso di nausea. La sentenza era stata emanata da un Tribunale militare, di cui io ho, senza risultato, proposto più volte l'abolizione, e tutti quelli che mi hanno combattuto, quella sera, ad un tratto volevano abolire la magistratura militare perché in quel momento gli faceva comodo. Secondo conato di vomito, quando vedo che tutte le televisioni danno per scontato il risultato di quella sentenza. Come è possibile non prevedere un problema di ordine pubblico e costringere all'assedio magistrati, avvocati, imputato. Quella sera ho sentito intellettuali garantisti dire che quel magistrato aveva forse rispettato la legge, ma non la memoria e la storia. E allora ricordo Calamandrei, sparito in Toscana, sostituito da Barile, che diceva: "Ho terrore di un giudice che pretenda di fare giustizia e non di applicare la legge".
A questo punto si abbandona il campo della politica, Marco Pannella si racconta in privato: il nome Giacinto voluto dalla madre, la prima abitazione romana in una soffitta con pochi amici, senza telefono, né ascensore, riscaldamento o acqua calda; e le sue letture: Céline, Saint-Exupery, Pound. La giornata di metà agosto è alla fine, si avvicina il rientro dalla vacanze e per settembre Pannella è pessimista. Ancora due chiacchiere davanti al registratore acceso, ma poca voglia di continuare a provocare, di arrabiarsi; su Craxi, il Governo, le dichiarazioni ottimistiche di Ciampi risponde laconicamente. Non lo interessano più di tanto.