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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Angiolo - 24 ottobre 1996
C E T I M E D I E B O R G H E S I A
di Angiolo Bandinelli

("L'Opinione", 24 ottobre 1996)

E da oggi, ufficialmente, anche da noi i ceti medi si mettono a scalpellare l'Europa. L'inchiesta della Confcommercio illumina a giorno il malcontento antimaastricht di vaste categorie piccoloborghesi; ma, Europa o no, è vero che questi ceti sono in difficoltà ed è probabile che verranno presto costretti anche in Europa e in Italia, dopo gli Stati Uniti, ad una amara riduzione dei parametri di "status symbol" guadagnati con indubbi sacrifici ma anche con furbizie ai limiti del lecito.

Un problema in più, per una fine-millennio chiamata comunque ad una profonda revisione delle strutture e degli equilibri sociali. Di ceti medi si parla ormai dovunque ed in ogni occasione. Le forze politiche, da destra e da sinistra, sono impegnate ad inseguirli e a rassicurarli, nella convinzione che dal loro consenso dipendano le proprie sorti e quelle del paese: i cattolici di tutte e due le sponde proclamano di essere i più naturali portatori dei loro valori autentici, la filosofia aziendalista di Berlusconi ha in costoro il suo target preferenziale, mentre Dini e la Pivetti sgomitano non lontani e persino D'Alema sembra disposto ad indossare il doppiopetto blu o grigioferro per poter infilare il suo sorriso legnoso nel loro immaginario, a costo di abbandonare a Bertinotti e a Cofferati le tute operaie e proletarie.

Ma perché questa rincorsa? I ceti medi sono una categoria sociologica, nessuno riesce a pensarli come portatori di valori generali. Qualcuno, forse ingiustamente, sarebbe propenso ad assimilarli al "lumpenproletariat", al proletariato straccione su cui Marx rovesciava ogni ignominia e cui imputava il successo dell'ascesa fascista e hitleriana. Comunque, se non sono proletariato, i ceti medi non possono davvero essere assimilati alla borghesia, pretendere di esprimerne in tutto o in parte i valori. Nelle sue fortune e sfortune, la borghesia ha segnato in modo indelebile, anche con le proprie contraddizioni e drammi interiori, il tempo storico, come ci ricordano Thomas Mann e Proust, Pirandello o Dostojevski.

La borghesia poté sparare le cannonate della Commune parigina o inventare la catena di montaggio delle grandi fabbriche, sempre però nella convizione di esprimere la storia del mondo e facendosene carico con una forte assunzione di responsabilità, che forse le veniva dalle weberiane origini calviniste e religiose. Senza scomodare Bossi e Billé col loro linguaggio torbido e pericolosamente irresponsabile, quando si vuole tratteggiare un identikit dei ceti medi si parla di "paure" piuttosto che di razionalità e di certezze etiche. La differenza è abissale.

Vi è, di quella mitica borghesia, una qualche traccia residua, nelle nostre società di fine millennio? La sociologia ne dubita. Qualcosa di più, almeno per il nostro paese, lo sapremo tra poco, seguendo la campagna promossa dai Riformatori dei Club Pannella, quella del già famoso "Ma perché". Abituati ai metodi tradizionali delle inchieste, non ci siamo accorti che la campagna pannelliana è, oltre che iniziativa politica, anche un vero e proprio sondaggio "sul campo". Con il loro slogan i Riformatori stanno promuovendo una provocatoria ricerca sociologica sull'esistenza o meno, in Italia, quanto meno di spezzoni di classe "borghese": classe di produttori, ma anche di portatori di quei valori che, secondo l'etica borghese, al produrre vanno associati e che possono essere riassunti in un senso di responsabilità che il possesso, la produzione di denaro, danno nei confronti dell'intera società.

Vi sono ancora di questi borghesi, in Italia? Borghesi, produttori, che avvertano che versare una parte anche cospicua delle loro entrate per "comprarsi" il diritto a professare, manifestare e imporre idee di portata generale è un dovere irrinunciabile, cui non si deve sfuggire, se non altro per quella contraddizione che sempre il possesso del denaro provoca, anche quando non si creda alla teoria dello sfruttamento di classe e dell'appropriazione del plusvalore operaio? Questa è la domanda che Pannella e i suoi stanno martellando dal palchetto di Largo dei Lombardi a Roma e da Radio radicale.

Difficile scommettere sull'esito dell'iniziativa. Dovesse avere successo, potremmo avere la speranza di concepire e fare coagulare un nuovo "blocco sociale" di produttori, diverso ed opposto rispetto alle categorie sollecitate da Bossi e Billé, al quale confidare le speranze di una rivoluzione liberale che investa i metodi del produrre ma anche la coscienza e i valori generali della società del terzo millennio; dovesse invece andar perduta, saremo obbligati ad accodarci anche noi ai piccoli, grigi egoismi del gran calderone populista dei ceti medi.

 
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