Caro Gull, io non disconosco la fondatezza filosofica del concetto di "libertà dal bisogno", ma ne contesto la "normativizzazione", l'innalzamento a principio avente dignità giuridica pari alle libertà civili classiche. Relativamente al contenuto concreto, pongo la "libertà dal bisogno" alla stessa stregua dei diritti economico-sociali che il pensiero "liberal" (non "liberale") ha moltiplicato negli ultimi decenni: il "diritto al lavoro", il "diritto all'abitazione", il "diritto a una corretta informazione", il "diritto dei consumatori", il "diritto alla pace" e così via. Un diritto è tale se, una volta riconosciuto, gode di immediata operatività. Ma tali diritti, anche quando vengono riconosciuti, non possono essere garantiti, o perché vaghi e dai contenuti opinabili, o perché dipendenti dall'assetto complessivo del sistema economico-sociale. Ad esempio, il diritto ad una "retribuzione commisurata alla quantità e qualità del lavoro svolto" non può tradursi in standard concretamente misurabili; il "dirittoa una corretta informazione" non può essere basato su criteri univoci; la disoccupazione (a proposito del "diritto al lavoro") non è eliminabile con mezzi giuridico-autoritativi, in quanto essa dipende dal dinamismo e dall'efficienza del sistema economico. Da "ultras" del liberalismo, tengo troppo alla certezza del diritto per accettare di conferire sanzione giuridica a principi che non possono ricevere applicabilità immediata. Perché allora non introdurre un "diritto a viaggiare comodi in treno", o un "diritto a non prendere storte camminando sul marciapiede" e via celiando? Trasformare tutto in diritto significa generare una giungla normativa che di per sé fa venir meno la certezza del diritto stesso.
Ma, indipendentemente dalle osservazioni precedenti, vi è un punto di rilievo che hai eluso: la terapia. Se ritieni che un atteggiamento astensionista generi un liberaltotalitarismo di segno opposto ma simmetrico rispetto a quello di matrice comunista, quali politiche economico-sociali suggerisci per eliminare o ridurre l'area del disagio? Converrai che il punto è decisivo per conferire robustezza teorica alla tua tesi.
Infine, una chiosa sulla "naturalità" dei rapporti economici e sociali. Personalmente, sul piano metodologico, mi riconosco nel filone di pensiero costituito dalla linea Mandeville-Smith-Mises-Hayek-Popper, secondo cui esistono solo individui che, compiendo azioni intenzionali, provocano effetti inintenzionali, cioé non previsti e involontari (così sono sorti il linguaggio, la moneta, le norme giuridiche, la divisione del lavoro, le istituzioni). L'ordine sociale così realizzato non ha una meta predeterminata, ma è in continuo mutamento, perché continuamente mutevoli sono le preferenze, gli interessi, i bisogni, le idee degli individui, che, combinandosi, producono esiti diversi dagli obiettivi razionali che gli individui stessi si erano prefissi. Dunque, niente di più "sociale", e, soprattutto, nessuna "fine della storia". Inoltre, non possono essere taciute le implicazioni libertarie di un tale metodo di analisi sociale: poiché le informazioni sui gusti e le preferenze sono diffuse e disperse fra milioni d
i individui, esse non potranno mai essere simultaneamente note ad un qualsiasi centro decisionale unico, e ciò delegittima sul piano teorico l'intervento e l'intermediazione dello Stato nella vita economica e sociale.
Saluti, Piero.