di Angiolo Bandinelli
(L'Opinione, 21 dicembre 1996)
No, non è un mostro, Tyler Allen, il governatore della Virginia cui spettava, fino a ieri, la decisione ultima circa l'esecuzione di Joseph O'Dell, e bene ha fatto a respingere da sé l'accusa, l'infamia. Allen è favorevole all'istituto della pena capitale, in America eminenti giuristi, coscienze liberali lo difendono con argomentazioni valide e ineccepibili, sopratutto nell'ambito di quella cultura, che ha fortissimo un senso della giustizia come espiazione e "risarcimento" di stampo, se si vuole, fondamentalista e biblico: chi di spada ferisce, di spada perisca.
Dunque, il rinvio della esecuzione di O'Dell non è una vittoria della civiltà contro una barbarie: è solo un piccolissimo passo avanti conquistato sul terreno del più generale dibattito sul senso del "diritto alla vita" e anche della "vita del diritto" nel nostro tempo: a nostro avviso, il dibattito centrale, il più necessario e "politicamente" urgente su scala planetaria. Quello che si chiude, è stato il secolo delle ideologie violente e prevaricatrici. Tutte, nelle loro diverse forme, erano ideologie del "bene comune" eretto a fondamento di Stati che per questo si proclamavano etici, vale a dire superiori alle norme del diritto e ai diritti civili. E l'ultimo scorcio di secolo agonizza sotto un'altra, analoga anche se apparentemente diversa, violenza, che si richiama al sangue, alle appartenenze di clan, di religione o di stirpe, per fare non minore strage di diritto e di vita: in Africa, come in Asia, e non solo là dove troppo fragili Stati si sono dissolti. In Cina, è lo Stato a farsi in prima istanza re
sponsabile di violenza: lì sono ancora attuali il genocidio (per il Tibet), la negazione dei diritti elementari, persino forme estreme di schiavitù.
Il secolo che si apre vede dunque in primo piano, ovunque, il confronto tra la violenza, privata e di Stato, e il diritto. Un confronto che non può non richiamarci ai supremi e rigorosi valori gandhiani. Per rovesciare la violenza occorre rielaborare teorie e prassi della nonviolenza, da porre a principio regolatore per la creazione di nuovi, più profondi diritti civili e umani. Così, straordinariamente, su questo fronte estremo, l'"orientale" Gandhi si incontra con il liberalismo più classico e "occidentale", direi più "europeo".
Solo se collocato in un quadro di tale ampiezza il rinvio della esecuzione di O'Dell assume il suo valore pieno. Qualcuno ha detto che questa è stata forse la prima pietruzza che farà smottare la montagna della pena di morte. La prima pietruzza, in verità, fu sgretolata quando poco meno di due anni fa, per iniziativa del Partito radicale e di Nessuno Tocchi Caino, alle Nazioni Unite venne discussa la mozione per la moratoria universale della pena di morte, passo necessario per avviare una ampia verifica su tutti gli aspetti della questione; e altre pietruzze via via erose sono state la istituzione del Tribunale Penale per la ex-Jugoslavia e la battaglia attualmente in corso per la costituzione del Tribunale Permanente sui crimini contro l'umanità. Per non parlare della campagna per la "liberazione" del Tibet e di qualche altra, diciamo così, minore.
Il liberalismo dell'ottocento definì i fondamentali, primari diritti del cittadino, il vero oggetto dell'aggressione dei totalitarismi di questo secolo. Con la Carta delle Nazioni Unite, dopo l'ultima guerra, vennero delineati in forma positiva e non astratta i tratti essenziali di un liberalismo finalmente universale e non solo "eurocentrico". Su questo confine la battaglia è appena iniziata. Non è detto che debba essere vincente. La ragione non è affatto desta, e i mostri impazzano e danzano ovunque su milioni di affamati, di torturati, di violentati, di ammazzati. Anche in casa nostra non si può giurare che il diritto abbia la vita facile. Sembra poi che, oltre ai loro nemici violenti, il diritto e la nonviolenza abbiano avversari anche tra quanti dovrebbero essere loro naturali alleati. Circolano dovunque versioni di un liberalismo edulcorato, libresco e ripetitivo e una nonviolenza rituale, formalista e in definitiva egoista, che si ergono a paludati guardiani della legge, delle sue chiose e chiese.
Il liberalismo del ventunesimo secolo, così intimamente e necessariamente gandhiano e nonviolento, va costruito altrove che sui libri: nelle battaglie, negli scontri, nel confronto reale con i drammi del nostro tempo.