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Partito Radicale Rinascimento - 23 dicembre 1996
IL QUIRINALE RISPEDISCA AL MITTENTE UNA LEGGE GIA' ABROGATA DALL'ITALIA

di Iuri Maria Prado

(Il Giornale, 22 dicembre 1996)

Signor Presidente, non dia corso alla promulgazione della legge sul finanziamento ai partiti. E nel suo potere di rinviare alle Camere quella legge. Usi di quel suo potere. Tenga conto, più che della Costituzione di cui la si vuole garante, della volontà popolare - cui lei così di frequente fa appello - per considerare almeno l'opportunità che il Parlamento riveda le proprie determinazioni, e dunque non legiferi in modo sostanzialmente difforme rispetto a quanto voluto dalla quasi totalità dei cittadini italiani.

Se lei, signor Presidente, non promulgherà questa legge sul finanziamento ai partiti, il Parlamento sarà libero di adottarla nuovamente e identicamente: ma il suo rifiuto, signor Presidente, obbligherà la classe politica a dover rispondere di una decisione che non si sarebbe potuta adottare in tanta tranquillità, se i cittadini ne avessero avuto conto. E lei sa bene che se questo non è stato possibile, non lo è stato perché il Parlamento, conscio dell'inaderenza della propria volontà alla volontà popolare, ha usato il silenzio della notte e i periodi festivi per lavorare a questa legge, e per farla passare senza strepito sulla testa dei cittadini. E con una sollecitudine inusitata.

Lei non ignora, signor Presidente, che sul valore giuridico e sulla rilevanza di rango costituzionale del corpo referendario e dei comitati referendari corre, e in dottrina e in sede di giustizia costituzionale, un importante dibattito. Ma non è a questo che si fa appello per richiedere che lei non promulghi la legge sul finanziamento ai partiti.

Molto più concretamente e in modo per nulla accademico, signor Presidente, ci si domanda se la volontà popolare non abbia un sostanziale valore 'politico', e se dunque sia possibile, giusto, democratico, che il Parlamento adotti decisioni così scollate rispetto non agli ipotetici orientamenti dei cittadini, ma rispetto a quelli concretamente e maggioritariamente manifestati solo qualche anno fa, e cioè nel tempo in cui già lei era capo dello Stato.

Signor Presidente, lei può scegliere: difendere la classe politica nel suo complesso, la quale consta di poche centinaia di persone, riunite in una assemblea senza più contatti col popolo che dovrebbe rappresentare, oppure diffondere la sovranità di quel popolo, cantata nella Costituzione grazie a cui lei è Presidente ma sistematicamente disattesa.

Se i partiti politici fossero - come dovrebbe essere ma non sono - libere associazioni di cittadini, allora non si darebbe ragione né possibilità di un finanziamento quale quello disposto dal Parlamento. Perché in questo modo i partiti politici diventano anche formalmente - come sono sempre stati materialmente - altra cosa, e cioè non libere associazioni ma rappresentanti dello Stato. Esattori, per meglio dire, ed esattori "in quanto partiti", mentre è logico e democratico che un cittadino voglia semmai finanziare una certa e identificata impostazione, una certa idea, un certo programma, e non la classe politica nel suo complesso.

Ma questo non si vuole, perché un sistema di finanziamento genuinamente volontario - quale non è il sistema che lei promulgherà - instaurerebbe un rapporto di trasparente fiducia tra partito finanziato e cittadino finanziatore. Fiducia - ecco il punto - revocabile da parte del finanziatore. Se il finanziamento fosse privato e volontario, infatti, ma "pubblicato" e conoscibile, il partito politico dovrebbe risponderne. Rispondere, cioè, del fatto che i soldi siano usati per fini leciti e, nel lecito, in modo soddisfacente per il finanziatore. Né vale l'argomento di comodo cui ricorrono alcuni, e cioè che in quel modo solo i "ricchi", i "potenti" sarebbero rappresentati dai partiti. Non vale: perché i ricchi e i potenti possono fare i loro interessi in contrasto con l'interesse comune solo a una condizione: che i loro contatti economici con i partiti siano sommersi, clandestini, vietati di diritto ma imperversanti di fatto: ciò che è sempre successo e che, con la legge che le si chiede di non promulgare, signo

r Presidente, succederebbe ancora.

 
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