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Partito Radicale Rinascimento - 25 dicembre 1996
CONFLITTO COSTITUZIONALE PER LA NUOVA LEGGE SUI SOLDI ALLA POLITICA

(Il Foglio, 24 dicembre 1996)

I REFERENDARI RICORRONO

Distribuendo il 4 per mille del reddito in proporzione ai voti dei partiti, si aiuta ad affossare il maggioritario

E non si chiude con il passato

Roma - Sulla nuova legge per il finanziamento ai partiti, approvata in via definitiva venerdì notte, grava un ricordo presso la Consulta. Il comitato promotore del referendum del '93 (quando il 90,3 per cento dei cittadini votò per l'abrogazione della vecchia legge) ha già investito la Corte costituzionale per un conflitto tra poteri dello Stato, cioè tra il Parlamento che ha varato la nuova normativa e il comitato promotore stesso, cui dovrebbe spettare la tutela dell'esito referendario.

L'avvocato del comitato, Beniamino Caravita, è pronto allo scontro: "Nel '93 la Corte dichiarò ammissibile il referendum riconoscendo la chiarezza del quesito rivolto all'elettore: si chiedeva di abrogare qualsiasi contributo pubblico ai partiti. Ora la nuova legge non fa che dirottare una parte del gettito fiscale, il 4 per mille, da impieghi quali Sanità, Scuola o quant'altro, verso i partiti. Ancora più grave - continua Caravita - è la norma transitoria, grazie alla quale, nel '97 lo Stato stanzierà 160 miliardi di puro e semplice finanziamento pubblico, senza neppure passare per il prelievo sull'Irpef".

La Corte dovrebbe pronunciarsi sulla questione a metà gennaio, e il comitato spera che il presidente della Repubblica non firmi la legge fino ad allora. D'altronde fu proprio Oscar Luigi Scalfaro, dopo il referendum sulla legge elettorale, a dire che "il Parlamento deve legiferare sotto dettatura dei cittadini".

Il senatore del Pds, Luciano Guerzoni, considerato il padre della nuova legge sul finanziamento ai partiti (suo è il primo ddl del '94) non teme le sfide costituzionali che si profilano: "E' una legge che a parte le ipocrisie degli ultimi giorni, è stata approvata da tutte le forze politiche, discussa e corretta per quasi tre anni e ormai, credo, inattaccabile. L'anticipo di 160 miliardi per il '97 è un fatto tecnico: l'amministrazione finanziaria impiega alcuni anni a calcolare il consuntivo delle scelte dei cittadini, tanto è vero che si è proceduto così anche per il contributo alle confessioni religiose. E poi una soluzione bisognava pur trovarla. Questo non contrasta con l'esito referendario".

Non è dell'avviso Marco Taradash, deputato di Forza Italia che contribuì, l'agosto scorso, a bloccare l'approvazione della legge alla Camera: "Il quesito è stato aggirato con un trucco: si lascia credere che sia il cittadino a versare un suo contributo volontario, in realtà è lo Stato che si priva di una parte del gettito, e a conti fatti basta che il 15 per cento dei contribuenti sbarri la casella destinata al fondo per la politica, perché il tetto massimo del finanziamento, cioè 110 miliardi, sia raggiunto. Per di più i cittadini non possono indicare a quale partito destinare il loro 4 per mille: tutto viene messo in un calderone e distribuito in base alla quota proporzionale". Questo è in effetti uno dei punti della legge che ha suscitato maggiori perplessità: "E' la morte del maggioritario - sostiene Taradash - Ogni partito vorrà tenere in vita la propria sigla per godere indisturbato della sua fetta di finanziamento".

Molti pensano che l'esplosione della Lista Dini, all'indomani dell'approvazione della legge sul finanziamento pubblico, non sia estranea alla necessità di spartire i circa 7 miliardi che corrispondono al suo 4,3 per cento ottenuto nel proporzionale, tra le quattro componenti in lite.

Lo stesso reato, due pene diverse

Le polemiche sulla legge non si limitano agli effetti futuri, riguardano anche i mancati effetti sul passato. Non è passato l'emendamento proposto dal presidente Ccd alla Camera, Carlo Giovanardi, che proponeva la depenalizzazione del reato di illecito finanziamento ai partiti. Con il risultato che oggi, in base alla legge elettorale del '93, se un candidato prende per sé in modo illecito anche 50 milioni, incorre in una sanzione amministrativa; se prende 12 milioni e una lira per il partito e non li mette in bilancio (secondo i tetti fissati dalla legge sul finanziamento pubblico del '74 e non abrogati dal referendum) rischia quattro anni di carcere. "E' stata la fiera della demagogia - racconta Giovanardi - il Pds ha cambiato idea per seguire le intemerate di Gianfranco Fini e di An, poi gli altri hanno seguito per non essere da meno. Il reato penale di finanziamento illecito ai partiti non esiste in nessun paese del mondo, e in pratica non esisteva neppure in Italia, visto che fino al '92 era stato contes

tato solo due volte. Con Tangentopoli è diventato lo strumento con cui le procure hanno ricattato l'intera classe politica, poiché non c'era nessuno che non vi fosse incorso. L'assurdo è che questa legge lo depenalizza per il futuro e non per il passato".

 
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