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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Rinascimento - 28 dicembre 1996
ECCO LA STORIA DI UN ALTRO REFERENDUM TRADITO

di Sandro Iacometti e Adalberto Signore

(L'opinione delle Libertà, sabato 28 dicembre 1996)

Nove anni fa l'80 per cento dei cittadini si pronunciò per la responsabilità civile dei magistrati. Ma poi...

E se un magistrato sbaglia? E se un innocente finisce in galera? Nove anni fa ci fu qualcuno che pensò di sanare molte storie dio ordinaria ingiustizia proponendo - con un referendum popolare - di cancellare dal Codice gli articolo che impedivano di chiamare direttamente in causa le toghe che avessero commesso errori. Ma poi, il parlamento ribaltò l'esito della consultazione popolare. E di questo non ci si dovrebbe sorprendere oggi - all'indomani dell'approvazione della legge che reintroduce il finanziamento pubblico dei partiti, già bocciato da un referendum. Vale la pena, dunque, di riproporre quella storia di nove anni fa.

Era il 1987 e l'Italia doveva decidere su uno dei tanti referendum proposti dal Partito Radicale. Il successo della consultazione popolare fu netto: l'80,2 per cento dei votanti chiese ai giudici di rispondere in prima persona dei loro errori.

Si trattava di togliere di mezzo gli articoli 55, 56 e 74 del codice di procedura civile che permettevano al magistrato di non essere direttamente responsabile per i danni causati al singolo cittadino. Ma la storia ci ha insegnato che l'iter di un referendum non si conclude davanti alle urne. Non a caso, i tavolini di Marco Pannella sono tornati a presidiare le piazze di mezza Italia. E tra i 18 referendum (ora all'esame della Corte Costituzionale) rispunta lo stesso quesito di dieci anni fa. Dal 1988 ad oggi, del resto, sono poco più di venti le cause civili relative ad errori giudiziari: di fatto, i magistrati restano tuttora "irresponsabili".

E' il 1986 e, sull'onda del caso Tortora, Radicali, Liberali e Socialisti chiedono l'allargamento della responsabilità civile dei magistrati alle ipotesi di colpa grave. La raccolta delle firme è un successo. E, arrivato a Palazzo della Consulta, il quesito riceve il "placet" dei giudici supremi. Il Parlamento inorridisce e inizia subito a pasticciare la legge che regola i referendum. Nel tentativo di prendere tempo, si stabilisce che l'entrata in vigore delle leggi sottoposte al voto popolare avvenga solo dopo sei mesi, per dar modo alle Camere di sanare il vuoto legislativo.

Le colonne dei maggiori quotidiani si aprono alle proteste dei giudici. L'Associazione nazionale magistrati lancia moniti e anatemi. "Una riforma del genere - spiega Agostino Viviani, consigliere laico del Csm - avrebbe messo in discussione la loro supremazia. I magistrati vogliono essere al di sopra e al di fuori di tutto. La verità è che in nessun altro Paese civile la magistratura ha un'autonomia così marcata". L'unico partito a schierarsi apertamente contro la responsabilità civile fu il Pri di Giorgio La Malfa. In realtà, è il Partito Comunista il vero avversario del referendum radicale. Nello stesso tempo in cui dichiara di prendere posizione posizione per il "sì", infatti, Botteghe Oscure lavora ad una nuova legge che accolga le istanze sollevate dai magistrati e dai sostenitori del "no". Il tentativo è quello di stabilire che i magistrati siano teoricamente responsabili dei propri errori, ma che di fatto non si possa mai affermare che i danni dei cittadini abbiano in loro il colpevole. L'idea pi

ace. E tutti i partiti (sia quelli apertamente favorevoli al referendum, sia gli indecisi, come la Dc) seguono la strategia tracciata dal Pci e sostenuta in prima persona da Luciano Violante. Tutti, tranne i Radicali.

Il loro unico errore è quello di non denunciare subito il "tradimento" del Partito Socialista che, insieme a Pannella, aveva promosso il referendum. Il leader dei Radicali non aveva ancora rotto con Bettino Craxi. Tutto va come previsto. La vittoria del "sì" è schiacciante. I partiti che non avevano osato opporsi all'opinione pubblica ma che, allo stesso tempo, avevano appoggiato la più potente delle corporazioni, brindano. E subito si mettono al lavoro per ribaltare l'esito delle urne. Così, nella primavera dell'88 si arriva alla legge Vassalli. L'espediente è ingegnoso. Il cittadino che subisca un danno ingiusto a causa di un atto doloso o gravemente colposo di un magistrato non può, come sarebbe dovuto, rivalersi direttamente sul giudice. Deve, invece, chiamare in giudizio lo Stato e chiedere (attraverso la persona del presidente del Consiglio) il risarcimento in sede civile. Se l'azione promossa dal cittadino avrà successo, allora sarà lo Stato a chiamare a sua volta in giudizio il magistrato. Il ri

sarcimento, comunque, non potrà mai superare un terzo del suo stipendio annuo. In Parlamento, la "legge del tradimento" va avanti con la solitaria opposizione dei Radicali. Il 13 aprile la proposta Vassalli diventa legge dello Stato.

Il gioco è fatto: la responsabilità diretta del magistrato viene aggirata, in barba al referendum e alla Costituzione (l'articolo 28 stabilisce che "i funzionari dello Stato sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti"). Già allora, il potere giudiziario dimostrava di essere più forte della volontà popolare.

 
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