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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Rinascimento - 30 dicembre 1996
IL GIORNALE 30 DICEMBRE 1996

REFERENDUM, L'ARMA PER CAMBIARE IL SISTEMA

La svolta nel 1997?

fondo di prima pagina di Iuri Maria Prado

Il 1997 potrebbe essere l'anno della rivoluzione italiana. Rivoluzione che potrebbe venire dal voto sui quesiti di referendum sulla cui ammissibilità giudicherà, nei prossimi giorni, la Corte Costituzionale. Si tratta di un ampio, enorme progetto di riforma, progetto che l'interesse partitocratico, capitalista e sindacale italiano non vuol lasciare sviluppare ai cittadini, perché questi deciderebbero secondo il proprio criterio, che è sempre contrario a quello di chi li governa. Rivoluzione, dunque, perché la finzione della sovranità popolare risulterebbe - i cittadini potendo votare per i referendum - meno finta. Precisiamo che il progetto referendario si divide - per origine, fini, storia e "peso" civile e democratico - in due gruppi. Da un lato, i quesiti dei Riformatori, che con una lunga ed ostacolata campagna hanno raccolto dodici milioni di firme presso il corpo elettorale. Dall'altro, i quesiti cosiddetti "per il federalismo" di derivazione amministrativo-regionale e dunque sprovvisti, allo stato, di

un diretto accreditamento popolare. Non è questa la sede per discriminare tra la bontà e l'efficacia dell'un gruppo di referendum rispetto all'altro. Quel che interessa qui è chiarire come l'istituto del referendum sia l'unico capace di diffondere in diretto favore del cittadino la capacità di governo e di partecipazione alla formazione della volontà generale, ciò che la classe politica nel suo complesso teme tradizionalmente e infatti impedisce. Lo teme perché il cittadino, venuto a contatto con la somma delle nostre leggi, si accorge che incatenano ingiustamente il suo agire economico, sociale, civile, professionale e culturale. Leggi, dunque, di cui il cittadino, solo fosse stato consultato, non avrebbe mai permesso la promulgazione. E leggi, pertanto pronte ad essere sepolte dal contrario voto popolare, quando al popolo sia data la possibilità di abrogarle. Ma questa possibilità - concessa di diritto - è impedita di fatto, tramite una serie di espedienti, spesso illegali, sempre antidemocratici. Il prim

o: la censura, affinchè il cittadino non sappia nè delle leggi che ne ingabbiano i comportamenti, nè della facoltà a lui concessa di stabilirne l'abrogazione. Censura in due tempi; in primo luogo non si fa conoscere al cittadino il contenuto delle leggi di cui è suddito (che se lo conoscesse, ciò basterebbe a farlo rivoltare). In secondo luogo, ove il cittadino si accorga (nel cercare un lavoro, nell'assumere un dipendente, nel capire esattamente a quanti e quali irrazionali ed inutili adempimenti è tenuto, nel rivolgersi al servizio sanitario nazionale, nel dover ottenere innumeri concessioni, licenze, autorizzazioni anche per la più lieve intrapresa, nel vedersi negata giustizia, nel non ottenerne contro chi ha senza motivo incarcerato la sua libertà, distrutto la sua vita) ove il cittadino si accorga, dicevo, della profonda ingiustizia delle leggi al cui impossibile rispetto egli è chiamato, allora non gli si faccia sapere di questo suo diritto consistente nel poter dire la propria, e spazzare via almeno

una quota di quelle inammissibili disposizioni. Nè finiscono qui gli ostacoli elevati contro il diritto dei cittadini di diventare volontà, potere, "Stato". Contro quel diritto, la classe politica - procuratrice del potere burocratico, sindacale e capitalista - interviene poi con la propria irresponsabile e ingiudicabile inerzia, lasciando lettera morta la volontà del corpo elettorale nei pochi casi in cui, dopo sforzi enormi, tale volontà è riuscita ad imporsi. O a volte, direttamente e ancora impunemente, riproducendo in nuove leggi il contenuto di norme che i cittadini avevano abrogato. Infine la cifra suprema, il culmine del potere antipopolare, l'organi i cui giudizi non aderiscono al diritto ma alle convenienze "materiali": la Corte Costituzionale. Il cui ufficio è sempre stato uno solo: impedire il voto genuino e apartitico, e cioè il "vero" voto. Rivoluzione, in Italia.

 
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