MA SCALFARO HA GIA' MESSO AL SICURO LA SENTENZA
LE GRANDI MANOVRE DEL QUIRINALE
Articolo di Giovanni Negri pag. 5
Un presidente della Repubblica in cerca di secondo mandato. Un Quirinale Ayatollah della Bicamerale. Trenta referendum che disturbano i suoi giochi. Fate il cocktail di questi tre elementi e scoprirete che i misteri intorno alla prossima sentenza della Corte Costituzionale ce ne sono ben pochi: il grosso della partita è già stato disputato, con la complicità dell'Ulivo ed un Polo discreto e silente. Anche perché un'ondata referendaria troppo impegnativa rischiava di infastidire il grande esercito dei piccoli cucitori, pronti a stringere in Commissione Bicamerale accordi di qualità simile all'ultima legge sul finanziamento ai partiti. E forse non è un caso che prima di esprimersi sul numero di schede che a primavera gli Italiani avranno o meno fra le mani, la Consulta si è convocata (9 gennaio) proprio per decidere sul ricorso che i referendari hanno presentato contro la legge sul contributo ai partiti, a loro detta clamorosamente contraddittoria con la sentenza popolare. In Italia tuttavia quelle che contan
o e sono sovrane non sono le sentenze popolari bensì quelle della Consulta. E su quelle stanze dorate e ovattate ha, da lungo tempo e con grande lena, lavorato il potente dirimpettaio del Quirinale. Un'operazione da Oscar decollata il 4 giugno scorso e conclusa con una vera e propria ciliegina sulla torta: il silenzio di Capodanno (ben curioso per un Capo dello Stato così loquace) proprio sul tema delle riforma e dei referendum. Il manovratore ha così operato su più piani. Attraverso il consigliere del Quirinale Franco Sapio (deputato del Pci nella commissione d'inchiesta sulla malaricostruzione in Irpinia, che in quella sede è il caso di dire cementò con Scalfaro una robusta intesa compensata con l'alta chiamata al Colle) il Presidente ha ad esempio smorzato le possibili tentazioni dei bipartitisti e garantisti della Quercia, visto che quello di cavalcare i referendum (soprattutto elettorali e sulla giustizia) è un pensierino che in qualche modo ha albergato persino nello stretto entourage di D'Alema. Il r
esto dell'Ulivo, da Bianco a Bertinotti, non aveva invece bisogno di essere convinto: "La democrazia diretta - aveva tuonato Scalfaro il 4 giugno scorso, dando loro voce - rappresenta un'eccezione alla regola di una democrazia mediata da un Parlamento'.Parole pesanti come macigni, pronunciate proprio dinanzi ai Giudici della Corte e destinate a sortire titoli di scatola: 'Scalfaro: troppi referendum'. Poi mentre nella democrazia italiana minacciata dai referendum andavano moltiplicandosi salubri cimici e sane guerre giudiziarie per bande, ecco ancora il Presidente al lavoro, questa volta sul versante nominale. Quindici sono gli scranni della suprema Corte, quattro erano vacanti, lui ne ha nominati tre. E nel loro who's who c'è la chiave del perché la consulta rifilerà il pollice verso su un bel numero di quesiti. "In materia mi sono sempre attenuto al principio della lottizzazione - dice un malizioso Cossiga ricordano il suo Quirinale - oggi mi pare prevalga il libero apprezzamento del Presidente, si accen
tua l'impressione di una Corte assai più dossettiana e di un regime a tratti semipresidenziale". Infatti, come d'incanto, ecco sfornati i giudici dell'asse d'acciaio che salda Scalfaro al Presidente della Camera Luciano Violante e al giurista della Sinistra Dc Leopoldo Elia: Piero Alberto Capotosti (che lascia a Carlo Federico grosso, vicino a Violante, la vicepresidenza del Csm), Guido Neppi Modona (barone rosso da sempre organico al violantismo) e Fernanda Contri (socialista amatiana e perciò area Ulivo). Coma non bastasse prima di loro Scalfaro si era premurato chiamando alla Corte anche Gustavo Zagrebelski, ardente difensore della Costituzione in lettura dossettiana, pronto a vedere e denunciare il demonio nel piccone di Cossiga e nelle tv di Berlusconi.Amici di Leopoldo Elia sono infine Riccardo Chieppa, Valerio Onida e Cesare Mirabelli (a quest'ultimo già vicepresidente del Csm, è stata affidata la relazione sul referendum che potrebbe travolgere proprio le modalità elettive del Csm). Fatta la somma,
sono sette giudici su quattordici, con l'Ulivo compattato contro i referendum, metà Pds blandito attraverso i saggi consiglieri, il Polo tacitato in cambio di un'elezione parlamentare alla Corte (quella dell'ex-Ministro Alfredo Pazzaglia) che i garantisti del centro-destra peraltro osteggiano e il cui giudizio in materia referendaria sarebbe secondo i book-makers quanto meno dubbio. Perché il Quirinale ha giocato a fondo la sua partita antireferendum? La ragione di tanta lena sta nella lettura politica, in filigrana, dei quesiti referendari.Aboliti i ministeri-chiave di industria, commercio, sanità, agricoltura e introdotti rapporti diretti con l'Unione Europea come chiedono i referendum delle Regioni, spazzata con conseguenze bipartitiche la quota proporzionale dal sistema elettorale e riequilibrati i rapporti con lo 'strapotere dei partiti dei giudici', alla Bicamerale non resterebbe poi così tanto da fare. Perciò sono i referendum prima e l'Assemblea Costituente dopo le bestie nere di Scalfaro, forse non
a caso i due meccanismi che consentono ai cittadini di mettere mano direttamente alle nuove regole e non delegarle a ristrette istanze. E' proprio contro gli uni e l'altra che il Presidente ha già pubblicamente esternato e contro i primi, anche meno pubblicamente lavorato.Un vero manovratore non può farsi disturbare da trenta, piccoli referendum.