lettera di Federico Orlando
(Il Corriere della Sera, sabato 4 gennaio 1997)
Caro direttore,
ci troveremo il 7 gennaio in Commissione affari costituzionali per discutere una proposta di legge del professor Rebuffa (Fi) con un titolo esoterico: "Regolamentazione della successione nel tempo delle norme elettorali". Il giorno dopo, 8 gennaio, la Corte costituzionale discuterà se ammettere o meno il Referendum Pannella che vuole abrogare il Mattarellum (ossia l'elezione del 25 per cento dei deputati e dei senatori in liste proporzionali anziché in collegi uninominali maggioritari).
Ieri il professor Galli della Loggia ha sottolineato sul 'Corriere' che solo se giudicherà come "potere neutro" la Corte eviterà di farsi ancora strumento di una politica "onnipotente" e quindi cattiva; e ci dirà se un giorno la nostra democrazia potrà acquistare un carattere liberale.
Da liberale, è una vita che sogno quel giorno. Ma vorrei evitare, nell'arrivarci, di mettere i piedi sulla dinamite. Purtroppo, per un Paese non ancora normale, è dinamite quella che potremmo miscelare in sole 48 ore fra Commissione affari Costituzionali e Corte costituzionale.
Mi spiego. La Corte ha sempre giudicato inammissibili i referendum che abrogano parti sostanziali di una legge elettorale. Teme infatti che le assemblee cui la legge si riferisce non possono essere rielette subito, se necessario. Se il referendum abrogasse il Mattarellum, per esempio, il Governo dovrebbe fare una nuova legge uninominale tutta maggioritaria. Si accenderebbe una disputa senza fine tra fautori dell'uninominale a doppio turno (Ulivo) e fautori dell'uninominale a un turno (referendari e presidenzialisti vari). E in questa lunga bagarre, un Parlamento sempre più ingovernabile non potrebbe essere sciolto, per mancanza di una legge con cui rieleggerlo.
Ed ecco la proposta Rebuffa. Anch'essa afferma, come finora la Corte, che il funzionamento delle istituzioni "non tollera soluzioni di continuità nell'operatività del sistema elettorale". Ma per evitare la gravissima crisi che scoppierebbe nell'intervallo tra la vecchia legge abrogata e la nuova non ancora operante, invece di impedire i referendum abrogativi propone di estendere alle leggi elettorali un noto principio del diritto: "La norma anteriore continua ad applicarsi fino a completa attuazione e operatività di quella sopraggiunta". Niente esoterismo, dunque, ma solo una norma di garanzia.
E tuttavia non la sosterremo (noi dell'Ulivo e anche qualcuno del Polo). Se lo facessimo, implicitamente suggeriremmo alla Corte di allontanarsi dalla sua giurisprudenza e quindi di dichiarare ammissibile il referendum. E andremo così contro la nostra convinzione, che le leggi elettorali vadano meditate e realizzate in Parlamento e non fatte a colpi di accetta abrogativa. Oggi siamo alla vigilia di un grande sforzo, riformare il governo, riscrivendo la Costituzione. La nuova legge elettorale non può essere dunque il residuato di un'abrogazione, ma dovrà essere coerente con la nuova forma di governo che gli daremo. Il referendum farebbe saltare questa necessaria razionalità: come ha onestamente scritto Pannella al 'Corriere della Sera' del 22 dicembre, "anche se nessuno ne parla, in caso di vittoria dei sì Scalfaro dovrà sciogliere le Camere e indire le elezioni entro l'autunno". Ma così, l'impegno dei "poteri neutri" verrebbe adulterato in un Paese non ancora normale.