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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Rinascimento - 5 gennaio 1997
IL MESSAGGERO 4 GENNAIO 1997

QUANTO POCO CONTA LA VOLONTA' POPOLARE

Fondo di prima pagina di Vincenzo Zeno-Zencovich

Tra il 7 e il 9 gennaio la Corte Costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi sull'ammissibilità di ben trenta richieste di referendum (dodici proposti dalle Regioni e diciotto dai Club Pannella). Non si tratta di un decisione puramente tecnica: da quasi vent'anni - chiunque fossero i promotori - l'intervento dei giudici della Consulta ha pensato in maniera significativa sull'agenda politica, fissando scadenze per decisioni importanti, oppure togliendo di torno questioni che avrebbero potuto creare seri problemi alla classe politica. Ovviamente non si possono analizzare nel dettaglio le trenta proposte referendarie, le quali tutte possono suscitare (e c'è da augurarsi che suscitino) variegate, opposte e anche accese opinioni. Piuttosto vanno segnalate alcune particolarità che accrescono la responsabilità della Corte Costituzionale nell'ammettere o respingere i quesiti referendari:

1. Lo stallo della 'Politica': da circa quattro anni la Politica (con la P maiuscola) annuncia, dai massimi vertici dello Stato a praticamente tutti i leaders delle varie formazioni, la necessità e l'urgenza di Riforme (sempre con l'iniziale maiuscola) istituzionali. L'unico risultato tangibile è stato la modifica, parziale e incompleta, del sistema elettorale, ma questo solo dopo che la stragrande maggioranza dei cittadini si era espressa, in un referendum popolare, contro il sistema proporzionale. Di fronte a tale incapacità il ruolo dei referendum (in particolare di quelli più 'caldi', come quelli elettorali) si ingigantisce, anche indipendentemente dalla volontà dei promotori.

2. Il conflitto fra Parlamento e volontà popolare: risulta sempre più evidente un conflitto fra volontà espressa dal corpo elettorale in consultazioni referendarie e decisioni del Parlamento, cioè delle forze politiche: gli italiani chiedevano un sistema elettorale maggioritario, gliene è stato dato uno che è tale solo a tre quarti; erano stati soppressi numerosi ministeri che toccavano competenze delle Regioni, ma le funzioni sono rimaste all'amministrazione centrale dello Stato; era stata abrogata la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, ma dopo poco lo si è reintrodotto perdipiù retroattivamente. Anche qui il referendum finisce per assumere una natura di 'contro-potere' che non è suo proprio, ma che è provocato da chi pensa che passata la festa (cioè il voto) si può gabbare il santo (cioè l'elettorato).

3. La 'protezione' dell'elettore: soprattutto con riferimento a questa tornata referendaria si mette in luce che le proposte sono tantissime,troppe. Come potranno gli elettori distinguere una dall'altra, capirne il significato, decidere con cognizione di causa? E' necessario - si dice - tutelare il corpo elettorale da questa confusione, con una drastica riduzione delle proposte. Se queste preoccupazioni meritano di essere discusse, stride non poco la richiesta di cambiare le regole quando il gioco è già iniziato.Il referendum, come tutti i meccanismi istituzionali, è delicato e suscettibile di essere modificato ed adattato. Ma questo è un compito che spetta alla legge, non un'istanza che possa pesare nel giudizio di ammissibilità.

4. Referendum e nuove forme di governo: non mancano coloro che, con ottime ragioni, mettono in guardia dai pericoli di una democrazia 'plebiscitaria' . E d'altra parte il referendum, necessariamente circoscritto e con effetti puramente abrogativi, non può certo diventare lo strumento di ordinario governo di un paese.Tuttavia, se queste considerazioni sono vere, non si possono utilizzare due pesi e due misure: se da un lato le proposte di riforma costituzionale più significative e largamente rappresentate prevedono tutte la elezione diretta del vertice delle istituzioni (lo si chiami presidente, premier, oppure cancelliere), dall'altro non si può negare legittimazione e capacità di scelta ai cittadini su temi importanti sì, ma di portata più ristretta della designazione del Capo dello Stato o del Governo.

5. Il 'passo avanti' della politica: da molti si chiede e si auspica, per uscire dalla apparentemente permanente emergenza giudiziaria, che la politica - intesa come arte e scienza degli interessi pubblici - faccia 'un passo avanti'. Il meccanismo referendario può costituire un segnale in questa direzione, e ciò indipendentemente dall'esito, abrogativo o meno, della consultazione. Ciò che importa, infatti, non è che le idee dei promotori trovino una maggioranza, bensì che i cittadini incontrino dal lato dell' 'offerta' della politica alcuni temi e strumenti che li rendano effettivamente partecipi del 'decision making process'. Non è un caso che le Regioni promotrici di ben dodici referendum siano in gran parte quelle dove con maggiore veemenza si è fatta sentire la protesta 'separatista'.

Come si vede la discussione sulla ammissibilità di tanti quesiti referendari dà veste giuridica ad un dibattito tutto politico che merita grande attenzione, anche da parte dei mezzi di comunicazione di massa, anche per sottrarli alla droga delle 'rivelazioni' su inchieste giudiziarie della cui sostanza il tempo e l'esperienza insegnano a dubitare.

 
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