APPELLO DI FRANCO ABRUZZO A MARCO PANNELLA: "RITIRA O RINUNCIA AL REFERENDUM CONTRO I GIORNALISTI"
Milano, 6 gennaio 1997
"Caro Pannella, mi sono deciso a rivolgerti un appello accorato perché il Comitato promotore è ancora in tempo a ritirare la richiesta di referendum abrogativo della professione giornalistica. Se giuridicamente non fosse possibile questo passo, il Comitato può certamente compierne un altro di grande spessore e valore politico: rinunciare pubblicamente alla richiesta di referendum. Il dibattito, che ho condotto rispettando (ovviamente) il tuo diritto a utilizzare uno strumento democratico qual è quello del ricorso al referendum abrogativo, ha messo a nudo la debolezza degli argomenti utilizzati dai riformatori per giustificare l'attacco alla dignità (professionale, civile, morale) dei giornalisti professionisti italiani. Premetto subito che non difendo l'Ordine in quanto ente organizzatore delle professioni intellettuali così come è configurato dall'articolo 2229 del Codice civile. Difendo, invece, la veste giuridica della professione giornalistica, perché l'attuale legge, la n. 69/1963, per quanto bisognosa
di sostanziali aggiornamenti, tutela, comunque, 'la libertà di informazione e di critica' dei cittadini e delle cittadine che lavorano nelle redazioni dei giornali, dei periodici, dei tg, dei radiogiornali, delle agenzie di stampa. Condivido pienamente con i riformatori l'urgenza della liberalizzazione della professione nel senso di eliminare comparaggi politici e clientelari in tema di accesso. La liberalizzazione è possibile formando i futuri giornalisti nelle Università e nelle scuole riconosciute: la laurea in giornalismo ormai è una realtà. Il relativo decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 140 del 17 giugno 1996. I primi corsi (quinquennali con il praticantato al terzo, quarto e quinto anno) partiranno nell'ottobre prossimo. Il disegno di legge Bedin-Duva, che accoglie i suggerimenti in tal senso dell'Ordine della Lombardia, è stato assegnato alla prima commissione permanente (Affari costituzionali) di Palazzo Madama.
Torniamo ai temi della propaganda dei riformatori contro i giornalisti e a giustificazione del referendum abrogativo. La propaganda accredita:
a) un referendum 'sull'Ordine dei giornalisti per abolire una legge che permette solo agli iscritti all'Ordine di dirigere una pubblicazione';
b) oppure un referendum 'sull'Ordine dei giornalisti per permettere a tutti i cittadini di esercitare liberamente l'attività di giornalista, senza il passaggio, ora obbligatorio, dell'iscrizione all'Ordine professionale'.
Tu, da informato e colto giornalista professionista, sai che quella propaganda ha il fiato corto. sai in particolare
1) che il referendum mira, in realtà, ad abrogare la legge n. 69/1963 sull'ordinamento della professione giornalistica, che, secondo la Corte costituzionale, è di 'rilevanza pubblica e di interesse sociale'. Recita così, infatti, il quesito: 'Volete voi che sia abrogata la legge 3 febbraio 1963, n. 69, recante Ordinamento della professione di giornalista?'. La Corte costituzionale sulla base delle norme in vigore ha anche affermato: 'I giornalisti preposti ai servizi di informazione sono tenuti alla maggiore obiettività e (devono essere) posti in grado di adempiere ai loro doveri nel rispetto dei canoni della deontologia professionale'.
2) che è la legge sulla stampa n. 47/1948 a volere giornalisti alla direzione di quotidiani e periodici e che, comunque, la Corte costituzionale ha trovato corretto questo principio con la sentenza n. 98/1968.
3) che quella giornalistica è una professione intellettuale organizzata, come le altre, dalla Costituzione (art. 33, V comma) con l'esame di Stato e dal Codice civile (articolo 2229) con l'Ordine concepito come ente gestore delle professioni e incaricato di tenere l'Albo, di esercitare il potere disciplinare sugli iscritti, di far svolgere periodicamente l'esame di abilitazione all'esercizio professionale agli iscritti nel Registro dei praticanti, di promuovere corsi di formazione e di aggiornamento. Il 'passaggio, ora obbligatorio, dell'iscrizione all'Ordine' è voluto, quindi, dalla Costituzione e dal Codice civile sul presupposto che quella giornalistica sia una professione (e chi può negarlo?). Il referendum, invece, comporta la inesistenza di una professione giornalistica. Questa è una bestemmia. La tua iniziativa, caro Pannella, arriva proprio, come dicevo, nell'anno in cui l'Università italiana si appresta a varare i corsi di laurea in giornalismo e nell'anno in cui conseguentemente l'accesso alla prof
essione è stato liberalizzato. Esistono cioè i saperi scientifici e tecnici che fanno di quella giornalistica una professione specifica, che non tutti i cittadini possono esercitare (come non tutti possono fare i medici, gli ingegneri, i notai, i commercialisti o gli avvocati), mentre tutti i cittadini sono liberi di scrivere sui giornali. I padroni dei giornali sono gli editori, mentre l'Ordine inquadra soltanto coloro che per professione manifestano il pensiero.
Una eventuale abrogazione della legge sulla professione giornalistica determinerebbe queste conseguenze:
a) scomparirebbero le figure giuridiche del giornalista professionista, del giornalista praticante, del pubblicista;
b) dovrebbe essere radicalmente modificato il Contratto nazionale di lavoro giornalistico Fnsi-Fieg (che dal 1961 ha valore 'erga omnes'), perché lo stesso oggi prevede la presenza nelle redazioni di giornalisti professionisti e giornalisti praticanti 'che abbiano i requisiti richiesti dagli ordinamenti della professione giornalistica', mentre domani potrebbe essere assunto chiunque, in quanto la professione sarebbe declassata a mestiere senza alcuna tutela giuridica e senza alcun percorso formativo. L'articolo 1 del Contratto, inoltre, precisa che l'autonomia professionale del giornalista poggia sui principi etici codificati nella legge professionale. Abrogata la legge professionale, sarebbero cancellati anche i principi etici! Il giornalista, interrogato da un Pm o da un Gip, non potrebbe più opporre il segreto sulle fonti fiduciarie (articolo 2 della legge n. 69/1963). Salterebbe anche l'articolo 200 del Codice di procedura penale che riconosce ai giornalisti professionisti il segreto professionale;
c) difficoltà crescenti e per ora incalcolabili anche per l'Inpgi, che oggi (senza ricevere aiuti dallo Stato) garantisce la pensione, l'assegno di disoccupazione e l'indennità di cassa integrazione ai giornalisti professionisti e ai giornalisti praticanti iscritti negli Albi e nei Registri tenuti dall'Ordine. In sostanza l'Inpgi non avrebbe più ragione di esistere una volta scomparse le figure giuridiche del giornalista professionista e del giornalista praticante. Verrebbero meno anche i presupposti della 'gestione separata Inpgi' a favore di quanti esercitano la libera professione.
C'è altro e più grave. I grandi mezzi di comunicazione sono in mano a note famiglie industriali o ai partiti (parlo della Rai). La Corte costituzionale ha affermato al riguardo: 'I grandi mezzi di diffusione del pensiero (nella più lata accezione, comprensiva delle notizie) sono a buon diritto suscettibili di essere considerati nel nostro ordinamento, come in genere nelle democrazie contemporanee, quali servizi oggettivamente pubblici o comunque di pubblico interesse'. I diritti dei soggetti, che curano l'informazione, andrebbero, quindi, accresciuti. E' da auspicare che, in sede di revisione della nostra Costituzione, il Parlamento inserisca nell'articolo 21 il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America il quale pone il 'divieto' esplicito al Congresso 'di fare leggi per limitare la libertà di parola o di stampa'. Deve vincere il principio della responsabilità: i giornalisti hanno il dovere e l'obbligo di difendere il ruolo di controllo e di denuncia proprio dei mezzi di informazione n
onché di ritagliare per la stampa il ruolo del guardiano rispetto agli altri poteri. Quella dei giornalisti è una professione da concepire e svolgere, infatti, come servizio pubblico nell'interesse dei cittadini. Abbiamo bisogno di strumenti giuridici (e di un Ordine riformato) che ci aiutino a voltare pagina. In questa battaglia, caro Pannella, abbiamo bisogno anche del tuo aiuto. Ma il referendum, credimi, va proprio in direzione opposta. Ti chiedo, da cittadino a cittadino, di riflettere e di compiere, possibilmente in fretta, quei passi che evitino ai giornalisti italiani di avviarsi lungo una strada che porta alla negazione del loro diritto a essere e a rimanere professionisti tenuti giuridicamente al rispetto dell'etica almeno quanto agli obblighi di lealtà verso le aziende alle quali sono vincolati contrattualmente.
Consentimi, caro Pannella, di dirti con tutta franchezza che la tua storia personale, così ispirata dai valori della libertà e della dignità umana, ti impedisce di camminare fianco a fianco con gli esponenti più retrivi del capitalismo nazionale, i quali, trincerandosi dietro malintese e comunque maldefinite esigenze del mercato, chiedono l'abolizione degli Ordini professionali".
Franco Abruzzo
presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia