Consulta e abolizione della proporzionale
Diciotto Pannella, dodici i presidenti delle Regioni capitanati da Formigoni. S', sono troppo numerosi, e in molti casi troppo complicati, i referendum sulla cui ammissibilità si sta per pronunciare la Corte. Così numerosi, e così complicati, da rendere assolutamente legittimi interrogativi come quelli sollevati, su Repubblica, da Andrea Manzella. Che si chiede se »I'effetto cumulativo di una quantità arbitraria di domande non leda dei »principii fondamentali della Costituzione. Due in particolare: il libero voto dei cittadini (non viene violato il loro diritto alla chiarezza?) e lo stesso sistema rappresentativo parlamentare, che rischia di essere svuotato da un »indebito programma legislativo di marca referendaria. Si tratta, ripetiamo, di questioni assai serie, che meritano riflessioni e risposte altrettanto serie. E tuttavia neppure l'indubbia rilevanza politica e istituzionale di questi problemi ci pare possano essere invocate per denunziare l'esistenza di una qualche intimidazione alla Corte né per
prendersela più di tanto con chi ricorda quante volte, in passato la Consulta si sia ispirata soprattutto a criteri di presunta »opportunità politica ; e manifesta perplcssità nei confronti non solo dei (discutibilissimi) mcccanismi di scelta dei giudici costituzionali, ma anche dei criteri con cui sovente sono applicati.
E' stato lo stesso D'Alcma, dopo le nomine presidenziali di Capotosti, Contri e Neppi Modona, a riconoscere implicitamente con i leader del Polo l'esistenza di un marcato squilibrio nella composizione della Corte, e ad assicurare di conseguenza il suo impegno perché la maggioranza in Parlamento votasse in favore di un candidato del centro destra, a fin appunto, di riequilibrio. Sin qui non se ne è fatto nulla, e non per primaria responsabilità dell' Ul ivo. La vicenda, tuttora irrisolta, testimonia però che non è affatto necessario militare fra coloro che denunziano a ogni piè sospinto pericoli di regime per sapere che anche questo è, eccome, un problema aperto. Ma è soprattutto sull'attacco preventivo, e comunque sulle pressioni cui sarebbero sottoposti i giureconsulti perché diano via libera ai referendum, che è bene essere chiari. Lungi da noi l'idea scellerata c volere in qualche modo coartare il loro giudizio. Decidano, come deve essere, in scienza e coscienza, e nella più assoluta li bertà. E se decide
ranno per l'inammissibilità di molti dei quesiti, non ce ne dorremo più di tanto.
Però, come si diceva ur tempo, non nascondiamoci dietro un dito. II pomo della discordia non è rapprescntato da tutti e trenta i quesiti, ma in particolare dai due sull'abolizione della quota proporzionale nell'elezione di Camera e Senato. E' inutile rammentare quanti e quanto forti siano gli interessi politici coalizzati per impedire una simile possibilità. Noi, invece, siamo convinti, senza alcuna enfasi novista, e senza voler condizionare nessuno, che un confronto referendario sulla questione sarebbe di grande utilità democratica per i cittadini, fautori del ritorno alla proporzionale compresi. E' la stessa convinzione che ci mosse nel '93, quando quasi 29 milioni di italiani risposero di si al referendum di Mario Segni. In quella circostanza, alla Corte (che alla fine ne valutò ammissibili 10) furono sottoposti altri dodici quesiti, alcuni dei quali assai complessi altri strampalati. Non ci sembra di ricordare che all'epoca, la cosa abbia turbato più di tanto la grande maggioranza delI'opinione pubblica
democratica, o abbia distolto i suoi giornali e i suoi commentatori dal fare il tanto o il poco che legittimamente potevano in favore di un sì dalla Consulta.
Certo dal '93 sono cambiate tante cose, molte indebite euforie si sono placate, e i dubbi sull'efficacia non solo della strategia referendaria ma dello stesso sistema maggioritario si sono moltiplicati. Ma allora di questo, e insomma di politica, e dei destini della nostra transizione, converrebbe in primo luogo discutere, piuttosto che di qualche eventuale pressione di troppo.