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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Rinascimento - 6 gennaio 1997
Articolo apparso su l'Unità del 6-1-1997
Consulta alla prova dei referendum di GIANFRANCO PASQUINO

Trenta richieste di referendum sono arrivate al vaglio di ammissibilità di 14 giudici costituzionali (manca ai plenum un giudice di contrastata elezione parlamentare). Le pressioni sulla Corte ad opera dei riformatori di Pannella, proponente di 18 referendum, e dei loro sostenitori, si sono fatte molto forti. Le Regioni, che ne hanno proposti 12, sembrano invece affidarsi al clima politico favorevole: chi oserebbe dichiararsi contrario al decentramento, al regionalismo, al federalismo, comunque allo snellimento dello Stato centrale e centralista? Forse le Regioni contano anche sull'effetto "mucchio selvaggio". Creato proprio dall'irrefrenabile attivismo referendario di Pannella, questo effetto, dei troppi referendum in una volta sola, su materie troppo eterogenee, potrebbe consentire alla Corte di operare uno sfoltimento per così dire salomonico: metà referendum ammessi (quello delle Regioni) metà bocciati (quelli di Pannella). Qualcuno prevede, e qualcuno auspica, che gli astuti giudici costituzionali, già

noti per essere poco referendari per culture, per vocazione e per precedenti pronunce scritte, sfrutteranno l'opportunità di annegare i loro no pesanti, per esempio al referendum sulla depenalizzazione delle droghe leggere e ai due referendum elettorali per l'abolizione del recupero proporzionale, facendo passare, con i loro si leggeri quelli ritenuti di minor incisività sulle istituzioni e di minor imbarazzo per la maggioranza di governo. Su entrambi i versanti, però, i problemi sono molto più complicati.

Se la Corte dichiara ammissibile i referendum elettorali e quelli per lo snellimento dello Stato, mette un'ipoteca a doppio taglio sull'agenda della nascitura commissione Bicamerale. La Bicamerale si sentirà obbligata a dedicare parte del suo limitato e prezioso tempo a contrastare i referendum ammessi oppure si sentirà liberata da incombenze delicate? E l'abolizione della quota proporzionale dalla legge elettorale metterà in imbarazzo il governo dell'Ulivo oppure toglierà le castagne dal fuoco per i riformatori istituzionali consentendo loro di cogliere l'occasione per proporre una bella legge elettorale a doppio turno (che salverebbe anche Rifondazione, con le opportune desistenze, ma anche dopo precisi impegni)? La complessità delle decisioni della Corte e la non univocità delle conseguenze, segnalano i molti problemi aperti. Non si uscirà da nessuno di questi problemi se la Corte procederà nel senso di miscelare un accorto dosaggio giuridico politico, se cercherà di utilizzare spericolate disquisizioni g

iuridiche per proteggere una sue inespressa visione politica di come si debba, e soprattutto non si debba, riformare uno Stato. Non si andrà da nessuna parte, infine, se la Corte giudicherà con riferimento al solo merito specifico di ciascun referendum perdendo, di vista più o meno deliberatamente, la problematica generale: il ruolo del referendum abrogativo nella Costituzione italiana e nell'attuale transizione politico istituzionale.

Le responsabilità della Corte per il passato, cioè la sue incerta giurisprudenza, e eventualmente per il futuro, cioè spianare ovvero rendere impervio il percorso di riforma delle istituzioni, non possono mettere la sordina alle critiche, giuste, alle confuse strategie fondate su raffiche referendarie. Per quanto limitato nella sue portata, il referendum abrogativo ha finora consentito ai cittadini di esprimersi con saggezza e con efficacia sui diritti e sulle istituzioni. La gamma referendaria poò essere ampliata, ad esempio introducendovi il referendum deliberativo, e il suo ricorso può essere precisato e persino ridimensionato, ma non deve essere reso inaccessibile alle minoranze dei più vari tipi, soprattutto in una democrazia che si consolidi come maggioritaria. In prospettiva, il sistema politico non dovrà essere governato dai referendum, ma attualmente fa fatica ad essere guidato dal debole, sfilacciato, permeabile, tutto da riformare, circuito governoParlamento. Poiché vive nel nostro tempo politico,

la Corte e, in special modo, i suoi nove giudici di nomina presidenziale e di elezione parlamentare sanno che debbono dare una risposta positive anche alle aspettative di cambiamento, di revisione istituzionale che i cittadini hanno espresso firmando i referendum, esprimeranno ancora informandosi nel corso della campagna referendaria e, infine, sanzioneranno andando a votare. Chi usa troppo il referendum rischia di logorarlo. Una Corte che decidesse dell'ammissibilità delle richieste referendarie in base a considerazioni di mera opportunità politica, legate alla contingenza, rischierebbe non solo di distruggere il referendum, ma anche di esacerbare il conflitto istituzionale. Non è il caso, non è il tempo.

 
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