a pag. 11 a firma di Nicola Tranfaglia.L'ormai imminente decisione della 'Corte Cstituzionale' sull'ammissibilità dei trenta referendum proposti in parte da Pannella (diciotto) e dalle Regioni (dodici) rischia di cadere in un momento di particolare confusione e diflicoltà della politica itaiiana. Se ne vedono già le avvisaglie nella polemica non di rado volgare condotta dai seguaci di Pannella e da giornali vicini ail'opposizione contro ia Corte, paragonata a una »cupola mafiosa , e nel nervosismo che traspare da prese di posizione dell'uno o dell'altro leader politico. Nulla di tutto questo era avvenuto negli anni in cui saldi erano gli equilibri di governo, le alternanze tra gli schieramenti erano escluse dai condizionamenti internazionali e la Corte era, a sua volta, assai vicina alla maggioranza parlamentare e di governo. Oggi quelle condizioni non esistono più ma la transazione verso il nuovo sistema politico segna il passo. II Parlamento è diviso e potremmo dire ingolfato, anche a causa di regolamenti fatti per il sistema proporzionale piut
tosto che per quello maaggioritario, tra I'esigenza pressante dl varare una serie di riforme messe in calendario dall'Ulivo e quella di intervenire su questioni per troppo tempo accantonate dalle precedenti assemblee. Inoltre la scelta per la Commissione bicamerale che vari le riforme alla seconda parte della Costituzione, attende il voto definitivo delle Camere e rischia di bloccarsi di fronte aile richieste sempre nuove e alle incertezze di un Polo diviso sul da farsi. Il clima politico appare poco adatto a una pronuncia serena e responsabile quale gli italiani si aspettano dal massimo organo di garanzia costituzionale. A tutto ciò bisogna aggiungere, come hanno ricordato in questi giorni ex presidenti della Consulta, ex giudi- ci e da ultimo Andrea Manzella su questo giornale, che la Corte si trova di fronte a un problema costituzionale di difficile soluzio- ne. In primo luogo, la disciplina costituzionale (art. 75) è insufficiente ad affrontare le dimensioni assunte negli ultimi ven'tanni (in cui ben qua
ranta referendum si sono tenuti, checché dica Pannella!) dal fenomeno referendario diventato una sorta di grimaldello da parie di chi cerca di contrapporre una sorta di pseudo-democrazia diretta e referendaria a un sistema rappresentativo, giudicato oligarchico e partitocratico. Né si può dire che la sentenza n. 16 del 1978 che ha individuato alcuni limiti analogici rispetto a quelil sanciti esplicitamente dalla legge fondamentale ha risolto i problemi derivanti dall'uso sempre più spregiudicato di quesiti che portano a referendum propositivi pinttosto che abrogativi, plurimi e manipolativi piuttosto che chiari nella scelta per gli elettori tra il sì e il no. Sicché anche la Corte, non dettando attraverso la sua giurisprudenza una disciplina limpida e omogenea, ha complicato le difficoltà delia situazione e si trova oggi ad affrontare, per cosi dire senza rete, I'alternativa secca tra l'allargamento sempre maggiore di un istituto volto ormai esplicitamente a scalzare il ruolo e le competenze di un Parlamen
to che peraltro funziona sovente assai male e il rifiuto massiccio di ammettere quesiti che non soddisfano appieno le condizioni poste in passato, sia pure frammentariamente, dagli stessi giudici costituzionali. Qualcuno, aprendo il dibattito, ha invocato la neutralità della Corte di fronte agli schieramenti politici e chi scrive non può non essere d'accordo con la necessità di un simile atteggiamento, senza dimenticare peraltro che nel sistema maggioritario - come dimostramo le vicende della Corte Suprema negli Stati Uniti - è il presidente, cioè il leader della coalizione vincitrice, a nominare, sia pure con il gradimento del Senato, i giudici. E difficile, insomma, che in un sistema democratico maggioritario non ci sia un collegamento, sia pure attenuato dalla durata della carica dei giudici sempre maggiore rispetto a quello delle elezioni politiche, tra chi ha ottenuto la maggioranza dei consensi tra gli elettori e la nomina dei gindici. II problema non appare tanto quello dell' orientamento dei giudici
quanto delle regole costituzionali idonee a far svolgere i referendum in maniera che diano origine a quesiti chiari e di grande rilievo, tall da coinvolgere la volontà popolare e non condurre a una crescente indifferenza dei cittadini. Ma si ritorna per questa via all'urgenza delle ritorme istituzionali e degli strumenti per attuarle. E la Bicamerale appare la più rapida ed efficace, almeno in questa legislatura.