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Vernaglione Piero - 7 gennaio 1997
Referendum su "Ideazione"

"Una spinta per le riforme liberali" di Tommaso E. Frosini, su "Ideazione" di novembre/dicembre 1996

Uno degli ultimi numeri dell'autorevole rivista francese di scienze politiche Pouvoirs è interamente dedicato al referendum: a conferma di un interesse in forte crescita che si va manifestando intorno a questo istituto, considerato quale elemento strutturale dell'edificio della democrazia contemporanea, che si avvia sempre più a diventare una democrazia con il popolo. Infatti, come dimostra Laurence Morel, in uno studio di politica comparata apparso proprio su Pouvoirs (n. 77, 1996), la pratica referendaria nelle democrazie liberali è in forte sviluppo e costituisce un rimedio efficace alla crisi della rappresentanza ed un impulso pedagogico al progresso civile della cittadinanza. In particolare, il caso italiano ci sembra che possa rappresentare un modello abbastanza istruttivo del fenomeno referendario; anche perché le consultazioni referendarie, che si sono svolte nel nostro paese, sono state di fatto manifestazioni rilevanti di "democratizzazione" politica e hanno segnato passaggi importanti delle vicend

e politiche e istituzionali. Infatti: la repubblica italiana è nata con il voto referendario del 2 giugno 1946; alcuni tra i più significativi diritti civili si sono affermati per mezzo di un referendum; la riforma del sistema elettorale si è potuta realizzare soltanto attraverso una volontà referendaria.

Nonostante le diffidenze dei costituenti e la tardiva applicazione dell'art. 75 della Costituzione (avvenuta soltanto nel 1970); nonostante il limite che esso incontra nella sola forza abrogativa della legislazione; nonostante i "paletti" che la giurisprudenza costituzionale ha fissato circoscrivendone e riducendone le potenzialità, l'istituto del referendum ha finito con l'acquisire un ruolo sostanzialmente integrativo del sistema rappresentativo, sul quale è fondato il nostro ordinamento costituzionale: non più strumento eccezionale, semplice "legislatore negativo", ma vera e propria espressione diretta della sovranità popolare, che consente all'elettorato di stabilire in prima persona le regole che, sotto forma di comandi o di divieti, si impongono alle autorità pubbliche. Ed è soprattutto nella crisi della politica e delle istituzioni che emerge, naturalmente nelle forme democraticamente garantite, la volontà popolare al fine di correggere, stimolare, indirizzare l'attività del parlamentare recalcitrante

. In questo senso l'esempio dei referendum elettorali è davvero emblematico; e proprio per questo non possiamo non essere d'accordo con Carlo Mezzanotte, secondo cui il potere costituente sembra aver trovato, nella consultazione popolare ex art. 75 della Costituzione, il suo veicolo d'apparizione al servizio dei diritti e delle libertà pubbliche. [...] Abbiamo già detto che le richieste assommano a trentadue: bisognerà vedere quante riusciranno a passare il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale, posto che nessuno dei quesiti attiene a quelle categorie di leggi che, secondo la Costituzione (ex art. 75), sono escluse dal voto referendario; se poi i quesiti risultassero essere chiari, univoci ed omogenei e non avessero un contenuto costituzionalmente vincolato o necessario (sono questi gli ulteriori limiti, extra-Costituzione, che la Corte ha disciplinato in diverse pronunce giurisprudenziali), allora non ci dovrebbero essere motivi di carattere giuridico per giudicare inammissibili i referendum,

a meno che la Corte non provveda a formulare nuovi indirizzi giurisprudenziali diversi rispetto ai precedenti. [qui l'autore riporta i temi dei 20 referendum] Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio programma politico manifestato a colpi di referendum; e non si può negare che il numero dei quesiti appare eccessivo, con il rischio concreto di mettere in difficoltà l'elettore al momento del voto, al punto che la Corte Costituzionale, posto che i quesiti abbiano tutte le caratteristiche formali e sostanziali per essere ammessi, potrebbe decidere di sospenderne qualcuno magari appellandosi - sulla scia di un discorso, davvero poco opportuno sul piano del "costitutionally correct", del capo dello Stato contro l'eccessiva proliferazione dei referendum, pronunciato proprio dinanzi alla Corte - al criterio della ragionevolezza, che è diventato ormai il criterio-guida delle decisioni della Corte costituzionale: ritenendo, per esempio, che un numero assai elevato di quesiti referendari non

è confacente al "senso comune", al comportamento ed alle valutazioni del "buon padre di famiglia", perché chiamare l'elettorato a pronunciarsi su oltre trenta quesiti non è ragionevole, in quanto si rischia di penalizzare la consapevolezza della scelta da compiersi; oppure addirittura facendosi interprete di quali debbano essere i limiti e le forme entro cui la sovranità può essere esercitata dal popolo (art. 1, secondo comma, Cost.). Si tratterebbe però di autentici interventi chirurgici di ermeneutica costituzionale difficilmente realizzabili, che finirebbero con lasciare una profonda ferita sul tessuto della lettera e dello spirito della Costituzione.[...]

 
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