Riporto in conferenza la sintesi di uno studio da me compiuto sulle sentenze pronunciate dalla Corte Costituzionale relativamente all'ammissibilità dei referendum. In particolare mi soffermo sui criteri utilizzati dalla Consulta per respingere i quesiti da noi presentati nel corso degli anni. Credo che possa essere un utile contributo, sia ai fini di una maggior conoscenza personale, sia, per chi lo voglia utilizzare, come strumento di lotta politica in questi giorni decisivi per l'esito dei nostri referendum.
La svolta nell'indirizzo giurisprudenziale della Corte si verifica con la sentenza n. 16 del 1978: degli otto referendum presentati dal Partito Radicale la Corte ne ammette solo quattro. Mentre con le sentenze che accoglievano i referendum sul divorzio e sull'aborto essa aveva escluso un suo intervento "manipolativo" e "creativo", cioé ulteriormente limitativo rispetto alle materie esplicitamente indicate nell'articolo 75 della Costituzione (leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali), con la sentenza in questione essa cambia linea, affermando che le richieste di referendum sono inammissibili anche quando sono contrarie a valori costituzionali non scritti, ma desumibili dalla Costituzione stessa. In linea con tale premessa, la Corte enumerò i criteri di inammissibilità: pluralità eterogenea di disposizioni legislative (quando cioé il referendum si svolge contro una pluralità di norme che non possono essere ricondotte ad una matrice unitaria,
coartando così la possibilità di scelta dell'elettore, che sarebbe costretto ad un voto bloccato su un insieme eterogeneo di questioni: tale criterio consentì di escludere il referendum sui 97 articoli del codice Rocco e quello sul codice penale militare di pace); leggi aventi rilevanza o copertura costituzionale (che escludeva il referendum sul Concordato); leggi aventi un contenuto costituzionalmente vincolato (che impediva ancora il referendum sul codice penale militare e quello sull'ordinamento giudiziario militare: infatti tali leggi corrisponderebbero a esigenze affermate dall'articolo 52 della Costituzione, quali la difesa della Patria, l'obbligatorietà del servizio militare e l'esistenza delle forze armate).
Con la seconda ondata referendaria del 1980 il Partito Radicale presentò dieci referendum. La Corte Costituzionale, confermando la giurisprudenza precedente, ne dichiarò inammissibili cinque. Quello sul codice Rocco non fu ammesso perchè a parere della Corte conteneva una pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria. Quello sulla Guardia di Finanza non fu ammesso per mancanza di omogeneità del quesito e per la contradditorietà tra le norme che si proponeva di abrogare e la eventuale normativa residua. Quello sulle droghe leggere fu respinto in quanto si trattava di norme collegate all'esecuzione di trattati internazionali, in questo caso la Convenzione unica sugli stupefacenti adottata a New York nel 1961, che impegnava gli Stati aderenti a misure coordinate contro produzione, distribuzione ed uso di sostanze stupefacenti. Quello sulle centrali nucleari non fu ammesso in quanto si trattava di norme collegate con l'esecuzione di trattati internazionali, in questo caso il Trat
tato istitutivo della Comunità europea dell'energia atomica (EURATOM). Quello sulla caccia venne respinto per mancanza di chiarezza e coerenza nel quesito.
La ripresa della strategia referendaria del 1986 si traduce nella promozione di otto referendum sui temi della giustizia e dell'ambiente. Con la sentenza del 16 gennaio 1987, la Corte ne respinge due sulla caccia e uno sul sistema elettorale del CSM. Il primo sulla caccia non viene ammesso in quanto il quesito sarebbe ambiguo e privo di chiarezza, perché al tempo stesso vorrebbe limitare l'attività venatoria ma di fatto ridurrebbe la protezione e la tutela della fauna, e dunque creerebbe disorientamento nell'elettore. Il secondo viene respinto per lo stesso motivo del precedente (in particolare perché riguardava due materie distinte: caccia e pesca). Per quanto riguarda il terzo, due furono le ragioni addotte dalla Corte: mancanza di consapevolezza del voto da parte degli elettori per carenza di una evidente finalità intrinseca al quesito; indefettibilità della dotazione di norme elettorali per gli organi la cui composizione elettiva è espressamente prevista dalla costituzione.
Nel 1990 furono presentati tre referendum di natura elettorale: estensione del maggioritario a tutti i comuni, sistema per tre quarti maggioritario al Senato, preferenza unica. La Corte costituzionale, pur dichiarando costituzionali i tre referendum, ne ammise uno solo, quello sulla preferenza unica, in quanto gli altri due quesiti, secondo l'interpretazione della Corte, erano formulati in maniera non "chiara, univoca e omogenea", poiché attraverso un lavoro di "ritaglio" delle norme di legge esistenti producevano formule legislative nuove; dunque sarebbero stati fuorvianti per gli elettori.
Dei quattordici referendum proposti nel 1991, quattro furono giudicati inammissibili dalla Corte (trasferimento di funzioni dallo Stato alle regioni e abolizione dei ministeri della Sanità, dell'Industria e dei Lavori pubblici) per mancanza di omogeneità rispetto alla normativa residua.
Va sottolineato il mutamento di giurisprudenza della Corte costituzionale a proposito del referendum relativo alla legge elettorale del Senato: la Consulta ritiene ora pienamente legittima l'operazione di "ritaglio", ottenuta attraverso l'abrogazione anche di singole parole, purché si abbia "chiarezza, univocità e omogeneità del quesito" e delle conseguenze abrogative.
Nel 1993 i Club Pannella presentano dieci referendum. Da sottolineare, oltre ai criteri di interpretazione già noti, l'individuazione del "vuoto normativo" come criterio impeditivo dell'ammissibilità dei referendum sulla legge elettorale di Camera e Senato, e il richiamo alla materia tributaria (vietata dall'art. 75 della Costituzione) per il referendum sul sostituto di imposta.