SIGNORI DEL POLO, LA BICAMERALE E' UNA VIA CRUCIS, L'AVENTINO PEGGIO.
Chi si oppone alla Bicamerale ha buoni argomenti. E difficile immaginare che i 70 membri della commissione riescano a riformare la Costituzione con un disegno coerente. Se cercheranno di accordarsi su misure che rafforzino il potere esecutivo e consolidino il maggioritario, Rifondazione, con ogni probabilità, ricatterà il governo Prodi e minaccerà di negargli il proprio appoggio. Nella migliore delle ipotesi i grandi temi delle riforme costituzionali verranno barattati contro le numerose, meschine questioni correnti a cui ogni partito attribuisce grande importanza. I1 maggior rischio, paradossalmente non è nel fallimento della Bicamerale, ma nella possibilità che essa finisca per generare un molstriciattolo costituzionale, una sorta di palliativo incapace di curare i mall del sistema politico italiano. Non basta. Comprendo perfettamente le ragioni per cui Gianfranco Fini considera la Bicamerale con tanta diffidenza. Teme un accordo tra Massimo D'Alema e Silvio Berlusconi che spingerebbe Alleanza nazionale ai
margini della politica italiana. Teme, non senza ragione, che il primo conquisti la collaborazione del secondo con qualche concessione su questioni che stanno a cuore al leader di Forza Italia. Ripeto. Vi sono ottime ragioni per pensare che la Bicamerale sia una via senza uscita e che l'unica strada maestra per affrontare la crisi istituzionale del Paese sia I'assemblea costituente.
Ma non credo che il Polo, in questo momento, posse sabotare la costituzione della commissione. Per due ragioni. La prima è d'ordine tattico. II Paese, nella sue maggioranza, non ha capito e approvato i motivi per cui i partiti d'opposizione hanno disertato l'aula al momento della discussione sulla Legge finanziaria. L'italiano di media cultura politica conservatore o progressista, poco importa non comprende perché I'assenza debba essere più efficace di un dibattito nel corso del quale i rappresentanti dell'opposizione denunciano pubblicamente gli errori della politica governativa. Se le deleghe chieste da Prodi in materia fiscale fossero state veramente un "colpo di Stato", I'opposizione avrebbe avuto il diritto e il dovere di adottare un atteggiamento ben pi_ duro e radicale. Se sono la manifestazione di una politica scorretta e arrogante, occorre dirlo in aula a chiare lettere. Credo che il boicottaggio della Bicamerale sommato allo pseudo Aventino delle scorse settimane disorienterebbe una buona pa
rte dell'opinione pubblica moderata e lascerebbe un altro segno sull'immagine del Polo. La seconda ragione concerne la strategia riformatrice delle forze di opposizione. II Polo sostiene d'essere stato per molto tempo la sola forza politica veramente desiderosa di rinnovare il sistema politico. Se è così, deve avere una strategia efficace, coerente e comprensibile. Oggi, purtroppo, la costituente non è all'ordine del giorno. Se il Polo, sollecitato da Fini, riuscisse a impedire la formazione della Bicamerale, il risultato non sarebbe un disegno di legge per l'elezione di un'assemblea incaricata di riformare la costituzione. [Il risultato sarebbe, in una prima fase, il peggioramento del clima politico e il ricorso, nella migliore delle ipotesi, all'articolo 138 della Costituzione, vale a dire a uno strumento molto più inaffidabile di quanto non sia la commissione Bicamerale. Chi vuole la riforma costituzionale non ha altra scelta, in questo momento, fuorché adattarsi alla via crucis della Bicamerale e percorr
erla sino in fondo per verificarne l'utilità. Se darà risultati positivi, bene; se si dimostrerà incapace di rinnovare il sistema politico italiano, I'ipotesi dell'assemblea costituente ne uscirà rafforzata. L'iniziativa di Mario Segni e di Francesco Cossiga è, in questa prospettiva, molto utile. Prepara un movimento di opinione che potrebbe essere, al momento opportuno, determinante. Se la partita della Bicamerale deve essere giocata seriamente, occorre tuttavia che i giocatori abbiano, nel momento in cui essa comincerà i suoi lavori, idee chiare sul modo in cui riformare la Costituzione. Invece di dividersi sullo strumento Bicamerale o costituente le forze riformatrici avrebbero interesse ad accordarsi su un progetto di riforma con cui sedere al tavolo dei negoziati. Abbiamo parlato troppo di procedure. Sarebbe ora che le forze politiche abbandonassero le reticenze e ci dicessero con quali progetti affronteranno i lavori della Bicamerale.
I diritti del popolo referendario.
Negli scorsi giorni, dopo un articolo di Ernesto Galli della Loggia nel Corriere della sera, si è aperta una discussione sui referendum proposti da Marco Pannella. Sono troppi. Sono oscuri. Sono cambiati, col passare del tempo, sino a diventare un bisturi chirurgico che tagliuzza le leggi in frammenti irriconoscibili. Anziché essere abrogativi, come vorrebbe la Costituzione, sono diventati surrettiziamente propositivi e servono a creare strumenti giuridici mostruosi, barocchi, inapplicabili. Sovvertono le regole della democrazia rappresentativa e introducono artificiosamente nel sistema politico italiano le forme della democrazia diretta. Contraddicono al principio secondo cui l'elettore dovrebbe conoscere con ragionevole precisione, al momento del voto, il risultato della sua scelta. E sono, infine, inefficaci. Credevamo di avere abolito il finanziamento pubblico ai partiti ed ecco che una nuova legge crea un fondo di 160 miliardi da distribuirsi tra le forze politiche secondo criteri proporzionali. Credeva
mo di avere abolito il ministero dell'Agricoltura ed ecco che esso riappare sotto altro nome. Credevamo di avere estirpato il sistema che consente ai sindacati di servirsi delle imprese per riscuotere la tassa d'iscrizione dei loro associati, ed ecco che la pianta cresce nuovamente dalle stesse radici. Queste osservazioni contengono una parte di verità. Ma chi se ne serve per boicottare le campagne referendarie dimentica che tutti i referendum proposti da Pannella o da Mario Segni nel corso degli ultimi anni potevano essere evitati. Bastava che il Parlamento mettesse all'ordine del giorno il problema e desse una risposta legislativa al quesito referendario. Bastava una legge perché i referendum sulla legge elettorale del Senato, sulla televisione e sul finanziamento pubblico dei partiti venissero accantonati. Ha perfettamente ragione Vincenzo Caianiello, già presidente della Corte costituzionale e ministro di Grazia e giustizia nel governo Dini, quando sostiene che »la responsabilità non può essere fatta ri
cadere sui promotori, ma su chi avrebbe dovuto provvedere da tempo a modificare le leggi sottoposte a referendum',. Sta succedendo per i referendum ciò che accadde qualche mese fa, quando la Corte costituzionale decise di mettere un freno alla reiterazione dei decreti legge. II sintomo in questo caso i referendum viene confuso con la causa del male. Ce la prendiamo con i decreti legge e con i referendum come se dietro di essi non vi fossero l'impotenza legislativa del Parlamento, I'incapacità delle Camere di far fronte alle emergenze del Paese e di riformare il suo sistema politico. I referendum , come si sono progressivamente configurati, non sono soltanto il risultato delle intuizioni riformatrici di Segni o delle provocatorie strategie di Pannella. Sono la necessaria ricaduta di uno stallo istituzionale che si protrae ormai sin dall'epoca della commissione Bozzi, all'inizio degli anni Ottanta. Anziché deplorarli e boicottarli gli uomini politici farebbero bene a chiedersi le ragioni della marea refe
rendaria che si abbatte periodicamente sul Paese. Farebbero bene a chiedersi perché le iniziative referendarie, anche se talora poco efficaci, continuino a suscitare forti adesioni e a raccogliere tante firme. Si parla di »popolo in Italia soltanto quando corre in piazza a gridare gli slogan scritti nelle segreterie dei partiti e delle organizzazioni sindacali. Forse che il popolo referendario ha meno diritti dell'altro?